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Leader. Letta: Pd allarga e vince. Conte: ballottaggi, no con destra. Autocritica-Lega

M. Ias. lunedì 4 ottobre 2021

Il primo a prendere la parola, dopo le primissime e parziali proiezioni, è Matteo Salvini. La sconfitta è dinanzi agli occhi e il capo della Lega, dopo aver cercato di distribuire un po' tra tutti le colpe dell'alta astensione, fa una prima ammissione di responsabilità: "Abbiamo scelto i candidati troppo tardi. Per il prossimo giro decidiamo a novembre...". Una corsa davanti alle telecamere perché io "ci metto sempre la faccia". In effetti, dal fronte moderato della coalizione pochi sono gli interventi se non quelli finalizzati a mettere in risalto le responsabilità di Salvini e Meloni. E la stessa leader Fdi, che nei voti di lista non ottiene l'atteso sfondamento, tace per tutto il pomeriggio. Consola la vittoria calabrese, che Salvini evidenzia anche per rispondere a chi vorrebbe tornare alla vecchia Lega Nord. E si prova un rilancio per il secondo turno a Torino e Roma, ma con l'amaro in bocca perché nel capoluogo piemontese si pensava di arrivare davanti al centrosinistra e nella Capitale ci si attendeva un risultato più rotondo per Michetti. Invece è tutto aperto e c'è ora il rischio che il voto nelle grandi città finisca 5-0 per il centrosinistra.

Giuseppe Conte, invece, lo spoglio lo segue dalla Camera dei deputati. Non c'è entusiasmo. I dati sono negativi dove M5s ha corso da solo, con l'estromissione di Virginia Raggi dal secondo turno e i risultati di lista bassi a Torino - dove il Movimento esprimeva la sindaca uscente - e bassissimi a Milano. Ma i numeri non sono esaltanti nemmeno dove i 5s hanno corso e vinto con il Pd, come Napoli e Bologna. Nel capoluogo partenopeo, in particolare, Conte si aspettava di essere il primo partito della coalizione a sostegno di Gaetano Manfredi, in realtà rischia di arrivare dentro dietro Pd e la lista del sindaco, addirittura sotto il 10%. "Siamo nel momento della semina", rassicura Conte. Che poi, sui ballottaggi, si mostra prudente: "Una cosa è sicura, mai con le destre". Ci vorranno però giorni per aprire seriamente il dossier-Roma e capire se parte dell'elettorato di Virginia Raggi si può spostare sul dem Gualtieri. Passaggi delicati che potrebbero far salire la tensione con Beppe Grillo, che ieri, in occasione dei 12 anni di M5s, postando una foto con Casaleggio sr ha tuonato: "Abbiamo fatto l'impossibile, ora facciamo il necessario".

Enrico Letta lascia parlare gli scontenti e poi si prende il prime time serale, da vincitore. Lui ha vinto anche sul campo, perché con le suppletive di Siena torna alla Camera. E ha vinto come capo politico del Pd. "Si battono le destre allargando il campo", dice un po' a tutti: a M5s, che "va meglio quando sta con noi"; alla sinistra; ai riformisti dell'area Renzi-Calenda. "Oggi mi sento più pronto di quando ero premier", aggiunge facendo capire che adesso anche le sue ambizioni personali si allargano e in prospettive devono ridimensionarsi quelle di M5s e dello stesso Giuseppe Conte. I cronisti gli chiedono se l'ex premier 5s sia ancora il "riferimento" per i progressisti e lui è lapidario: "Era un'altra fase". Mentre al centrodestra, conclude il ragionamento, manca il "federatore", il ruolo che aveva Berlusconi e che ora, secondo Letta, né Salvini né Meloni riescono a svolgere.

A proposito di Meloni, la leader di Fdi in serata fa sentire la sua voce. Dice di "non vedere" una "grande vittoria" del centrosinistra, si dice preoccupata dalla "superficialità" con cui si analizza l'astensionismo e poi emette quello che a suo avviso è l'unico vero risultato politico: "M5s scompare, torna il bipolarismo". In un quadro opaco, la leader Fdi si gode però il primo posto di lista a Roma, molto avanti alla Lega, e il quasi appaiamento con il Carroccio a Milano. Male il simbolo a Napoli e nessuna ascesa travolgente in Calabria.

I tre leader convergono quando poi si parla di governo Draghi, nel rafforzarlo. "Siamo più vicini all'Europa oggi, il voto al centrosinistra è un voto a Draghi", dice Letta. Ma già Salvini, nelle prime battute, aveva buttato le mani avanti: "Nessuno usi questo voto per buttare giù l'esecutivo, noi lo sosteniamo fino in fondo".

Il governo-Draghi, insomma, non dovrebbe ricevere scossoni. E la prova è l'agenda che ha imposto subito Draghi: già domani in Cdm arriverà la legge delega di riforma del fisco con i nodi scottanti dell'Irpef, del catasto e forse anche della rimodulazione Iva. Da oggi, infatti, nessuno più ha un interesse ad anticipare le elezioni politiche.