«La prima reazione il 13 novembre fu incredulità. I morti di Parigi scossero e interrogarono un mondo che non aveva mai visto nulla di simile. Il terrore durante il concerto del Bataclan fu qualcosa di inatteso e di imprevedibile...». Enrico Letta resta qualche secondo in silenzio. «...Questa volta tutto è diverso. Oggi c’è più rabbia perchè è impressionante che sia potuto accadere quello che è accaduto. È tutto così assurdo, così incredibile, così incomprensibile, anche così intollerabile. In un momento di massima allerta questo non doveva succedere e invece è successo. Perchè mancava e manca una risposta europea. Perchè si lascia tutto alle polizie nazionali». C’è fastidio nel tono di voce dell’ex premier. «Dobbiamo smetterla con servizi di intelligence nazionali. A compartimenti stagni. Che non si parlano. È ora di creare una struttura ampia, forte, veramente europea. Di fare subito quello che si sarebbe dovuto fare già da tempo: un Fbi europeo». È una mattinata dove rabbia e dolore si accavallano. E dove prendono forma le prime idee per una risposta alla minaccia del Daesh. Letta racconta la Parigi dove vive. Una città che ha reagito al terrore alzando le misure di sicurezza anche a costo di limitare le libertà personali. «Dal 13 novembre nelle università della capitale francese filtrano tutti gli ingressi. Qui entri e vieni perquisito: non è sempre bello vivere così; ma è essenziale, ti fa sentire sicuro», ripete abbassando la voce. Il paragone con Bruxelles è inevitabile e impietoso. «In Belgio è mancata efficienza: a settanta ore dall’arresto di Salah come è possibile far entrare esplosivi in aeroporto? C’è stata una inefficienza incomprensibile e intollerrabile. E sono ore che mi interrogo: che cosa deve ancora accadere per scuotere questa Europa? »
Davvero Letta dice che la colpa è dell’Europa? No, dico che la colpa è degli Stati membri. Della loro mancanza di visione. Del loro egoismo. Non vogliono cedere quote di sovranità, non vogliono una vera sicurezza europea. E così, nelle città europee, cresce il senso di sbandamento: i cittadini vedono una situazione fuori controllo e temo che abbiano ragione.
Che risposta auspica? Una immediata decisione a livello di consiglio europeo. Bisogna fare quello che non si è fatto dopo Parigi. Farlo subito. Dire che la sicurezza appaltata ai singoli Stati membri non è una garanzia per una Europa che il fronte terrorista vuole distruggere colpendo i suoi simboli. Il 13 novembre hanno preso di mira la spensieratezza dei nostri giovani europei; ora hanno attaccato l’aeroporto di Bruxelles e la fermata della metropolitana Schuman: quella delle istituzioni comunitarie, quella che porta il nome di uno dei padri dell’Europa.
Crede a un’Europa capace di decidere in temi rapidi? È costretta a farlo: senza una reazione convinta i partiti populisti cresceranno ancora e sarà un grande guaio. È un momento di svolta. Dietro gli attentati c’è un solo vero obiettivo: costringerci a rialzare i muri, fare vincere l’odio tra noi e loro e quello tra di noi. La risposta può essere solo una: fermezza, ma non chiusura. Sicurezza ma anche integrazione. Penso allora a una polizia europea alle frontiere esterne della Ue: è la sola strada per garantire l’abbattimento delle frontiere interne.
I morti di Bruxelles saranno un colpo mortale a Schengen? Schengen finirà ancor di più sotto pressione. Proveranno ad assimilare terroristi e rifugiati ma su questo bisogna essere chiari: i rifugiati non sono terroristi e meritano una chance. Bisogna riflettere. Erano settimane che Salah si rifugiava nel cuore dell’Europa, nella 'sua' Bruxelles dove era cresciuto e viveva.
Quali altre conseguenze immagina? I morti di Bruxelles complicheranno l’accordo tra Ue e Turchia. E anche su Brexit prevedo ripercussioni: Cameron poteva dire ai suoi elettori che 'stare dentro l’Europa ci rende più sicuri'. Ora avrà meno argomenti.
Crescerà il fronte che dice 'interveniamo in Libia'? Sulla Libia vedo troppo incertezze, troppe titubanze. Si sottovaluta il fatto che Daesh sotto casa nostra non è più un fantasma, è una realtà. Non ho risposte operative perché non ho dati; ma non si può sottovalutare e non si può fare finta di nulla pensando che il problema se lo risolvono in Libia. Così la situazione rischia di peggiorare e di diventare presto incontrollabile.
Oggi però c’è più di qualcuno che dice 'Daesh sta perdendo forza...' Non mi convince per nulla la tesi di un Daesh che perde forza e non mi consolo con la tesi che Bruxelles sia il colpo di cosa di un terrorismo morente. È invece un colpo durissimo al cuore della nostra Europa. Il 13 novembre avevamo tutti capito che nulla sarebbe stato più come prima e, invece, nelle ultime settimane, avevamo tutti ripreso a vivere riscoprendo la bellezza della normalità. Ora ci ritroviamo protagonisti di un incubo.