La «serenità» di Enrico Letta ha un che di granitico. Né l’attesa della decisione della Giunta su Berlusconi, né le picconate di Renzi smuovono le sue sicurezze. «Va tutto benissimo – dice il premier a margine del trilaterale di Venezia con Slovenia e Croazia –, guardo con serenità e fiducia ai prossimi giorni, sono certo che prevarrà il buon senso».Il «buon senso», nel Letta-pensiero, coincide con la prosecuzione del suo esecutivo. «Lavoro con serietà e determinazione perché il Paese non si faccia del male. Tante volte ci siamo fatti del male da soli, ora dobbiamo smetterla di guardarci l’ombelico». Troppe, ragiona il premier con la stampa, le responsabilità dell’Italia in Europa e nel mondo, tante le opportunità da afferrare con i primi segni di ripresa economica.Le sicurezze di Letta si fondano sulla sensazione che né il Paese né, soprattutto, la maggioranza di Pd e Pdl, vogliano le urne. «Gli italiani sono consapevoli di quanto possiamo perdere se va tutto a carte 48. Aumento delle tasse, perdita del potere d’acquisto, mancata possibilità di far fronte agli impegni internazionali. Mentre tutti sono consapevoli di che cosa possiamo guadagnare in termini di riduzione delle tasse e aumento dei posti di lavoro». A conoscere la posta in gioco, continua Letta, è anche «chi gli italiani li rappresenta in Parlamento», ovvero i partiti.Nelle ultime ore sembra quasi che Letta parli alla luce di "fatti segreti" che solo lui, Berlusconi e Napolitano conoscono davvero. Come se fossero arrivate delle rassicurazioni non più ritrattabili. Certo, il voto della Giunta per le elezioni aprirà qualche ora di caos, sostengono i suoi, ma niente di più. Berlusconi non arriverà al punto di non ritorno, anzi giungerà passo dopo passo a quella «soluzione ordinata» della sua vicenda politico-giudiziaria che da un lato passa inderogabilmente per l’addio al Senato (con le dimissioni prima del voto finale?), dall’altro dal riconoscimento, attraverso la grazia, della «peculiarità» della sua storia.Il fatto che rassicura Letta è il messaggio tassativo che Napolitano ha fatto giungere ad Arcore attraverso lo zio Gianni: lo strappo del Pdl non porterebbe alla fine della legislatura, ma a qualsiasi tentativo per superare il Porcellum. E la sensazione è che, in un modo o nell’altro, una maggioranza per una nuova legge elettorale si troverà. Vuoi per i dissidenti che si stanno organizzando nel centrodestra e in M5S, vuoi perché il partito di Grillo sembra arrivato ad un punto in cui non può più "lavarsene le mani".Eppure l’attesa per quanto il Cavaliere farà prima e dopo la "sentenza" della Giunta resta palpabile. La road map è ancora quella di prendere tempo in Giunta in modo tale che l’Aula del Senato si pronunci in via definitiva sull’incandidabilità dopo il ricalcolo dell’interdizione. Se così non fosse, il Cav dovrebbe scegliere tra il profilo «istituzionale» suggeritogli dalla famiglia e dai vertici aziendali - che passa per le dimissioni e poi la richiesta di grazia al Colle - e la rottura. La seconda strada potrebbe essere preceduta dall’intervento in persona di Berlusconi o durante il dibattito pubblico in Giunta o direttamente a Palazzo Madama nel giorno del voto finale dell’Aula. Oppure, in alternativa, da una infuocata intervista sulle sue reti televisive.