Ricordando la strage di via D'Amelio. L'estate di lavoro "obbligato" all'Asinara di Borsellino e Falcone. Che poi dovettero pagare il conto
“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Il turista che si aggira distratto tra le casette di Cala d’Oliva si imbatte per caso nella targa appiccicata alla parete della villetta rossa affacciata sul mare dell’Asinara. Basta quella frase, firmata Paolo Borsellino, per sentirsi risucchiare dallo spirito vacanziero e ritrovarsi all’indietro nel tempo, tra le pagine più crudeli della recente storia d’Italia. “Qui, nell’estate del 1985, i due magistrati trucidati dalla mafia scrissero parte dell’ordinanza sentenza del maxi processo” spiega la targa. L’altro magistrato è Giovanni Falcone: li prelevarono insieme in gran fretta e li trasferirono sull’isola in elicottero, perché si era sparsa la voce di un imminente attentato per eliminare entrambi. All’Asinara i due giudici amici continuarono il loro lavoro, completando l'atto d'accusa contro i boss mafiosi. Vi restarono un mese, il capo chino sulle carte. Ogni tanto cedevano alla tentazione di un tuffo nelle acque cristalline, ed era uno dei pochi lussi che conoscevano. Sulla collina, poche centinaia di metri più su, incombeva il braccio di massima sicurezza del super carcere di Fornelli. Dove, nel 1994, verrà portato Totò Riina, subito dopo l’arresto. In questo 19 luglio, 24 anni dopo la strage di via D’Amelio, è bello pensare che chi si trova a passare da Cala d’Oliva si fermi un attimo a ricordare quei due uomini soli, costretti a portare avanti un compito immane e fatale in uno scenario da sogno, dove oggi ci si rilassa e si prende il sole, sforzandosi al massimo di sfogliare qualche rivista. Alla fine, lo Stato presentò pure il conto del soggiorno. Come a due turisti qualsiasi. “Pagammo, noi e i familiari – ricordò Borsellino - diecimila lire al giorno per la foresteria, più i pasti. Avremmo dovuto chiedere il rimborso. Non lo facemmo, avevamo cose più importanti da fare''.