Attualità

Generazioni insieme. I ragazzini di Lerici: «Gogol? Da noi si recita in dialetto»

Lucia Bellaspiga inviata a Lerici (Spezia) lunedì 24 giugno 2024

Tre generazioni recitano in lericino da 25 anni in "Marilontani"

“Vi ho riuniti, signori, per una notizia estremamente spiacevole: sta per arrivare un Ispettore dello zar!”. Inizia così la commedia russa di Nikolaj Gogol “L’ispettore generale”, satira impietosa scritta nel 1836 per ironizzare sui vizi della società e la corruzione di tutti i personaggi nessuno escluso, sindaco, giudice, sovrintendente alle opere pie, ispettore scolastico, medico, mercanti e borghesi della cittadina russa… L’opera, sempre attuale, è andata in scena i giorni scorsi al teatro Astoria di Lerici (La Spezia) allestita dalla compagnia Marilontani e recitata in dialetto lericino (titolo “L’oa der belinon la ven per tuti”, l’ora dello stupido arriva per tutti): allo humour del testo di Gogol si è dunque sommata la verve della parlata ligure, per di più affidata in gran parte ad attori adolescenti, abili nell’interpretare l’ipocrita società provinciale ai tempi dello zar (ma anche ai nostri, come a tratti lasciano intendere con suprema ironia).

Sono 25 anni che Marilontani porta in scena capolavori mica da poco, dal latino Plauto a Molière, dal genovese Govi a Dante Alighieri, da Goldoni a Boccaccio, da Pirandello ai Promessi Sposi a Eduardo De Filippo, tutti tradotti in lericino da Giuly Rolla, 78 anni, custode appassionata di una cultura che qui non molla e anzi contagia i giovani. Era il 1999 quando fondava la compagnia tutta di ragazzini e iniziava la certosina trasposizione di opere che sono senza tempo, perché – come dice lei – i secoli passano ma l’uomo resta uguale. Da 25 anni le giovanissime generazioni del Golfo dei Poeti mandano quindi a memoria i testi teatrali “in un dialetto che loro non parlano, lo studiano come se dovessero recitare in inglese o in francese”, spiega Giuly Rolla. Nel frattempo chi all’epoca era ragazzo è diventato genitore, così agli attuali attori oggi si affiancano (nelle parti secondarie) madri e padri, con in braccio i più piccoli, le leve del futuro. E per scene e costumi si dan da fare tutti, diretti per mesi dalla regista Olga Tartarini e dalla scenografa Silvia Tartarini nei locali concessi dal parroco don Federico. È la prova che dove non ci sono palanche (fondi pubblici), ma si lavora per pura passione, il risultato è sorprendente: ressa per entrare, posti subito esauriti, rimaste fuori centinaia di persone, familiari degli attori inclusi (e persino assessori).

Applausi e risate sono a scena aperta: la “commedia degli equivoci” di Gogol, infatti, diverte costringendo a meditare. Già, perché in realtà quello che arriva alla locanda non è l’Ispettore generale preannunciato da Pietroburgo, ma un giocatore d’azzardo di passaggio. Convinti che sia stato inviato dallo zar a controllare il loro operato, tutti i personaggi (dalla coscienza sporca) fanno a gara a ingraziarselo con mazzette e lusinghe. Il giovane approfitta della situazione per riempirsi le tasche e corteggiare mogli e figlie… finché non scrive a un amico di Pietroburgo una lettera in cui sbeffeggia uno per uno la dabbenaggine di quei creduloni, ma il direttore dell’ufficio postale la apre e svela così l’equivoco, mandando in bestia tutti i gabbati. Il colpo di scena arriva all’ultima battuta: “Un funzionario dello zar da Pietroburgo ordina che vi rechiate subito da lui: è già alla locanda”. Questa volta è quello vero!

La fondatrice della compagnia, Giuly Rolla, conduce le prove di Gogol al Teatro di Lerici - L.B.

La storia di Marilontani è legata a quella della Festa di Avvenire, giunta quest’anno alla 48esima edizione (il prossimo 1 agosto), “perché è stato proprio Avvenire sin dagli anni Settanta a rilanciare a Lerici la passione per il dialetto, con le rappresentazioni degli altri due gruppi teatrali Le briciole e Le bricioline, sempre in cartellone durante la kermesse estiva del giornale”, ricorda l’autrice. Marilontani è arrivata dopo, grazie anche al sogno dell’allora parroco don Franco Ricciardi di onorare la Madonna di Maralunga (appunto “mari lontani”), oggetto di devozione popolare dal 1480, quando il golfo restituì la poppa di un brigantino naufragato chissà dove, con l’immagine dipinta di due Madonne. Il resto lo ha fatto Colombo Bongiovanni, l’indimenticato autore di un vocabolario italiano-lericino, “grazie al quale arriviamo a un dialetto così scieto, vero, schietto”.

La rappresentazione di Gogol al Teatro Astoria di Lerici - L.B.

L’aspetto più speciale è che a scrivere la sceneggiatura sono stati i ragazzi stessi, Elia Tincani, Virginia Modenese, Ruslan Di Sibio, Giovanni Biavardi, Giorgio Modenese, Gabriele Seremedi e altri ancora, che hanno letto Gogol e lo hanno adattato dalla Russia alla Liguria e da San Pietroburgo a Roma, “tanto i vizi umani restano gli stessi”, osserva Elia, 19 anni, protagonista nei panni del sindaco grossolano e disonesto. Mattatore insieme a lui è Giorgio, 16 anni, il falso Ispettore, e intorno a loro ruota una sessantina tra attori e maestranze di ogni età, dai 2 anni di Phoebe (ostinata nell’arrampicarsi sul divano come richiede il copione), agli 80 di Gisella Contardo, costumista prestata dall’alta sartoria. Ma come dice la locandina, che non cita gli attori, “a no ghe podeno mete tutti i nomi perché i g’en tropi: gh’è i veci e i nevi”, non si possono nominare tutti, vecchi e nuovi. Però vale la pena citare Eugenio De Biasi, 29 anni, il gendarme che ha solo la battuta finale con l’annuncio del vero ispettore (“le sue parole devono essere una scossa elettrica su tutti – raccomanda Gogol –, l’inosservanza di ciò comprometterebbe l’effetto complessivo!”)… Per questi cinque secondi di teatro Eugenio, che nel 1999 era tra i piccoli di Marilontani e oggi è maresciallo di Finanza in Sardegna, è arrivato dall’isola e subito dopo è ripartito. A spese sue come tutti. Anche Paola Pazienza è tornata dalla Germania apposta per recitare con le sue due bambine. Mentre il biondo Alexander, appena adottato proprio dalla Russia e sul palco “attore” in braccio a suo papà, si chiama già Lissan: anche lui è tradotto in lericino.