Il caso. Leggi contro l'omofobia, la deriva delle Regioni
Del tutto condiviso l’obiettivo di lottare contro le discriminazioni di genere, ma il testo stabilisce una corsia preferenziale per quelle in ambito sessuale, ignorando ingiustizie a sfondo razziale e religioso Una scritta contro l’omofobia in una città italiana
Omotransnegatività. Con questo fluido neologismo, il Consiglio regionale dell’Emilia Romagna vorrebbe approvare una legge «contro le violenze determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere ». L’obiettivo è in parte condivisibile e in parte no. Sulle discriminazioni sessuali, diciamolo subito, il magistero della Chiesa ha da tempo una posizione limpidissima. «Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione », scrive papa Francesco nel citatissimo n.250 di Amoris laetita.
Ma il progetto di legge dell’Emilia Romagna – come altri due proposte regionali di cui si dibatte da mesi in Puglia e in Calabria – va oltre. Il concetto di omotransnegatività allarga infatti l’obiettivo da una condivisibile lotta contro le discriminazioni a un rischioso proclama che investe libertà di opinioni e di espressione. Condannare la 'negatività' di valutazioni che non si allineano alle posizioni del più oltranzista pensiero in materia, potrebbe aprire la strada a derive inaccettabili, tra cui l’accettazione o almeno la 'promozione culturale' di pratiche come l’utero in affitto che offendono gravemente la dignità della donna e del bambino. Nulla di tutto ciò in altre leggi regionali – Toscana, Umbria e Piemonte – che si occupano. pur con non poche problematicità, di discriminazioni a sfondo sessuale. Il progetto di legge regionale di cui è prima firmataria la consigliera Roberta Mori e che arriva forte di un voto dei consigli comunali di Bologna, Parma e Reggio Emilia, è stato al centro, un paio di giorni fa, di un’udienza conoscitiva pubblica in cui le associazioni cattoliche hanno presentato un documento incisivo.
Conciliante sui principi di fondo ma irremovibile nel rifiutare il pericoloso dettato estensivo del termine omotrasnegatività. Acli, Famiglie numerose, Azione cattolica, Agesc, Giovanni XXIII, Cif, Mcl, Mlac, Movimento per la vita e San Vincenzo, sostengono 'fortemente' la lotta contro 'le discriminazioni', ma contro 'tutte le discriminazioni', perché si fa presente che quelle a sfondo razziale o religioso, ma anche quelle che per esempio sostengono le famiglie 'childfree', non sono meno odiose di quelle sessuali. Ma, a preoccupare davvero, è la volontà del progetto di legge di nascondere dietro l’ambigua vaghezza del neologismo-trappola, obiettivi non espliciti ma tutt’altro che rassicuranti. Il punto decisivo è il tentativo di affermare l’autodeterminazione dell’identità di genere. Che vuole dire? Nel documento delle associazioni si invita a considerare non l’autodeterminazione bensì «la coscienza dell’identità di genere, che è una componente fondante dell’identità personale», in cui rientrano componenti biologiche, psicologiche, culturali e sociali.
Da qui la domanda? L’identità – concetto diverso dall’orientamento – può essere autodeterminata con una scelta personale perché mutevole e arbitraria, oppure è il risultato di una complessa interazione di geni, ormoni, processi di sviluppo a livello cerebrale e somatico? La scienza ne dibatte da decenni, senza arrivare ad una conclusione condivisa. Appare quindi azzardato inserire il concetto in un articolato di legge, come fosse conclusione ormai assodata. In ogni caso, si legge ancora nel testo diffuso dalle associazioni, la 'riassegnazione del genere' può avvenire solo al termine di un iter legislativo secondo le leggi vigenti.
Nel progetto dell’Emilia-Romagna c’è poi la pretesa, tutt’altro che irrilevante, di stabilire una gerarchia all’interno delle discriminazioni. Quelle a sfondo omo e transessuale arriverebbero a godere di una corsia preferenziale nell’ambito del lavoro, della sanità, della scuola, con tutti gli interrogativi legati alle possibili divagazioni applicative che la proposta si guarda bene dallo sciogliere. Manca invece, e qui il documento presentato l’altra sera in consiglio regionale dalla cordata di associazioni non fa sconti, «una esplicita condanna della pratica della maternità surrogata».
Da parte sua, il presidente del Forum delle associazioni familiari dell’Emilia Romagna, Alfredo Caltabiano, sottolinea l’inutilità della norma, visto che già oggi esistono leggi e iniziative per la prevenzione della discriminazione di genere e del bullismo a livello regionale e nazionale, e invita a «rispettare il ruolo e il compito che la famiglia ha nell’educazione dei figli e non va disatteso come invece si evince dalla proposta di legge». Ora la parola passa alla politica. Il Pd, da cui come detto è partita la proposta, appare tutt’altro che compatto. L’invenzione della 'omotransnegatività' suona come una forzatura anche a una fetta non trascurabile dei democratici. Da qui l’invito a riflettere ancora.
Abbiamo davvero bisogno di questi diritti impregnati di ideologia in un quadro organico di politiche familiari? È quanto si chiede da tempo anche il Forum delle associazioni familiari della Puglia a proposito della proposta di legge contro l’omofobia sostenuta dalla giunta Emiliano: «L’approccio del ddl è profondamente sbagliato, perché discrimina fra discriminati – osserva la presidente del Forum pugliese, Ludovica Carli – e prescinde da un fondamentale lavoro educativo che dovrebbe avere come protagoniste la famiglia e la scuola». Iter molto avanzato anche per il progetto di legge della Calabria, già approvato in commissione, in cui si introduce un altro concetto che disorienta, quello della discriminazione in base alle «caratteristiche sessuali ».
Anche in questo caso una divagazione sul tema che non aiuta la reale comprensione del problema. Per il resto il resto il disegno di legge ricalca in buona parte quello pugliese. Se non si tratta di 'regia dei diritti trappola', poco ci manca.