Attualità

Ddl Zan. Legge omofobia rinviata tra i dubbi

Luciano Moia venerdì 30 ottobre 2020

Tutto rinviato alla Camera per la discussione sul testo omofobia. Il dibattito in Aula riprenderà martedì e, secondo il calendario concordato, proseguirà fino a giovedì quando si dovrebbe arrivare al voto finale.

Ieri, al termine di una bagarre esplosa sull’articolo 6 del provvedimento che prevede l’istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia – centrodestra assolutamente contrario – la presidente di turno Maria Edera Spadoni, dopo aver ripreso più volte Vittorio Sgarbi, alla fine l’ha espulso dall’Aula perché rifiutava di indossare la mascherina. In precedenza la Lega aveva cercato di far mancare il numero legale, dopo richieste reiterate di votazioni a scrutinio segreto su un emendamento, negato dalla presidenza in quanto non ne ricorrevano i presupposti. Ma la maggioranza ha garantito i numeri necessari. La seduta è stata comunque sospesa senza alcun risultato utile per gli obiettivi dei sostenitori della legge. Approvati i primi cinque articoli mercoledì, ne rimangono altri cinque per la prossima settimana.

E rimangono anche i dubbi su un provvedimento che continua ad essere divisivo. Gli emendamenti approvati non hanno sciolto le domande sulle questioni chiave. A cominciare dalla formulazione dell’articolo 3, il cosiddetto 'salva idee' che avrebbe dovuto fugare i timori di chi coglie nella proposta di legge rischi libertici. L’articolo recita che «restano salve la libera espressione di convincimenti ed opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Ma se gli atti di violenza sono definiti con precione, quali sono in realtà gli atti discriminatori? La maggioranza ha preso in considerazione i decreti legislativi 215 e 2016 del 2003 dove si distingue tra discriminazione diretta e indiretta. La prima si verifica quando, «per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga». La seconda quando «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone ... in una situazione di particolare svantaggio». Ma bastano questi riferimenti per tutelare le libere manifestazioni del pensiero, anche su questioni antropologicamente sensibili?

Molte perplessità anche sulle definizioni sintetiche di questioni complesse come orientamento sessuale e identità di genere. Non si tratta di riprendere la vulgata del cosiddetto complotto gender, ma di chiarire in modo articolato questioni che non possono essere banalizzate. Invece i molteplici aspetti – biologici, psicologici, comportamentali e sociali – che concorrono all’identità di genere nell’ambito della dimensione personale non si ritrovano nella formulazione scelta dalla proposta di legge, lasciando un margine di indefinito inaccettabile per una norma penale che finirà per essere risolta dalla discrezionalità del giudice, con tutti i rischi connessi. Sullo sfondo rimane sempre la questione relativa alla necessità di arrivare a una modifica degli articoli 604 bis e ter del codice penale. I dati giustificano questi interventi? No, sostengono coloro che prendono come metro di riferimento i dati Oscad-Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori del ministero dell’Interno (26,5 segnalazioni l’anno). Chi invece ritiene necessaria la legge, spiega che la maggior parte dei reati sfugge alle statistiche proprio per l’assenza di un reato specifico, così che tanti atti di discriminazione per motivi di odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere finiscono per essere iscritti come reati comuni, spesso contro ignoti e poi spesso archiviati. Una complessità e un’incertezza che forse avrebbero meritato tempi più sereni e dibattiti più approfonditi rispetto allo sprint parlamentare imposto dalla maggioranza.