Legge elettorale. La maggioranza trova l'accordo e sceglie il proporzionale
La maggioranza ha deciso: se una riforma della legge elettorale ci deve essere sarà in chiave proporzionale. Lo ha confermato il ministro per le Riforme Federico D'Incà al termine del vertice di maggioranza spiegando che «entro la fine dell'anno» la maggioranza produrrà un testo definitivo e che si privilegia un «proporzionale con un meccanismo antiframmentazione». La maggioranza si trova ora davanti a un doppio bivio: il primo è quello sul tipo di proporzionale, per cercare o meno di allargare il consenso anche a qualche partito di opposizione; il secondo riguarda invece l'eventuale voto anticipato in primavera
che farebbe saltare la riforma con il taglio dei parlamentari e non obbligherebbe a una nuova legge elettorale. Questi i punti centrali del confronto al vertice serale di maggioranza al quale il ministro Federico D'Incà si è presentato con delle simulazioni con i diversi sistemi elettorali e in cui si è confermato l'impegno a presentare un testo entro il 20 dicembre.
Il doppio turno nazionale, proposto dal Pd, sembra infatti archiviato, vista la contrarietà di M5s, Iv e Leu. Infatti alla riunione con i capigruppo in serata D'Incà ha portato - come concordato in precedenza - una serie di proiezioni con i soli sistemi proporzionali, riconducibili a due principali varianti: con soglia nazionale (al 4% e al 5%) o con soglia circoscrizionale, cioè il cosiddetto sistema spagnolo. Quest'ultimo garantisce ai partiti in bilico nel raggiungimento di una soglia nazionale (appunto 4-5%) di poter eleggere dei
parlamentari almeno nelle grandi circoscrizioni urbane, garantendogli un diritto di tribuna, specie in Senato. Il Pd preferisce un sistema con soglia unica nazionale, ma tra i Dem c'è anche chi - come Andrea Orlando - guarda con favore al sistema spagnolo: garantendo i partiti più piccoli, favorisce le alleanze anche negli enti locali.
A questo primo bivio se ne accoppia un secondo sul contenuto della legge: voto di preferenza, brevi listini bloccati o ancora collegi uninominali come il modello in vigore per il Senato fino al 2006. L'altra scelta di fondo, di natura squisitamente politica, è la velocità con cui procedere con la riforma elettorale. Infatti mandarla avanti rapidamente per taluni rischia di accelerare la fine della legislatura, mentre c'è chi paventa un pericolo simmetricamente opposto: se per una qualsiasi ragione dovesse invece cadere a breve la legislatura, prima di avere la nuova legge, si voterebbe con il Rosatellum, un vantaggio per la Lega di Salvini che, se Pd e M5s non si alleano, potrebbe vincere in quasi tutti i collegi uninominali. Il tema dei tempi si intreccia con quello della eventuale richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari che va presentata entro il 12 gennaio. Se verranno raccolte le 65 firme necessarie in Senato (a oggi hanno firmato in 52 senatori), l'entrata in vigore del taglio dei parlamentari slitterà a dopo lo svolgimento del referendum
(aprile-maggio). Ma ciò potrebbe indurre qualche partito a far cadere la legislatura prima per poter rieleggere un Parlamento con 945 eletti anziché 600. Un dubbio che ha frenato la raccolta di firme inizialmente partita a piè sospinto. Nessun partito dichiara questa intenzione, ma molti parlamentari riferiscono che vi sono diffidenze su accordi in tal senso tra leader di partiti.