Smartphone e tumori. Burgio: «Le radiazioni fanno male. Soprattutto ai più piccoli»
Ernesto Burgio
Sul campo, impegnato ormai da tre anni con un gruppo di ricerca dell’European cancer and enviroment research institute di Bruxelles (Eceri) nello studio degli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute umana, c’è l’esperto di epigenetica e disturbi del neurosviluppo Ernesto Burgio. Secondo cui non solo il possibile nesso tra tumori e uso dello smartphone «è ormai documentato da decine di studi internazionali», ma «andrebbe preso seriamente in considerazione soprattutto in relazione ai bambini e addirittura ai feti».
Non la convince, dunque, la tesi per cui non sono provati danni per la salute...
Per molto tempo si è rimasti legati alla posizione “ancestrale” che a nuocere alla salute umana siano essenzialmente le radiazioni ionizzanti, ad alta frequenza (per intenderci quelle dei raggi X), capaci per la loro energia di far saltare gli elettroni nei nuclei e causare mutazioni del DNA. Quello che ormai sta emergendo invece da decine di studi condotti negli Stati Uniti, in Europa e in Cina, e pubblicati su riviste scientifiche, è che anche le radiazioni non-ionizzanti – caratterizzate da frequenza estremamente basse e medio-alte, come quelle emesse rispettivamente dagli elettrodotti e dai devices della telefonia mobile – sono pericolose perché hanno la capacità di rendere instabile il genoma, inducendolo a produrre proteine dello stress e disturbando la programmazione e l’espressione del DNA. È vero, cioè, che i campi elettromagnetici non determinano direttamente mutazioni, ma in caso di esposizione prolungata nell’arco della giornata (superiore a un’ora) e prolungata nel tempo (sopra i dieci anni), secondo questi studi aumentano in modo tutt’altro che trascurabile i rischi di sviluppare alcuni tumori (in particolare cerebrali). Assistiamo, anzi, già a un lieve aumento di questi ultimi.
Come agiscono queste radiazioni?
Sul piano del laboratorio quello che hanno dimostrato questi studi è che le cellule più sensi- bili a queste radiazioni sono da un lato le staminali (cioè quelle che rinnovano gli organi e che sono implicate nel cancro), dall’altro le embrionali. Inoltre l’embrione e il feto utilizzano per differenziarsi e via via svilupparsi campi elettromagnetici endogeni, con i quali quelli esterni interferiscono. I risultati di queste ricerche sono fondamentali e inspiegabilmente sottovalutati: vuol dire che il rischio maggiore lo corrono proprio le cellule meno differenziate. E vuol dire che gli effetti più gravi rischiamo di vederli nei prossimi decenni, nelle nuove generazioni, sotto forma di disturbi dello sviluppo. Nessuno, del resto, può negare che è già in atto un grande aumento delle patologie legate al di disturbi del neurosviluppo in tutto il nord del mondo.
Con un numero così grande di soggetti esposti alle radiazioni degli smartphone non dovrebbe però essere in corso una vera e propria epidemia?
Il problema è che l’esposizione veramente collettiva agli smartphone dura da appena dieci anni, mentre perché si formi un tumore cerebrale ne occorrono in media venti. Chi nega i rischi del cellulare in tal senso o parla per ignoranza, o è in malafede. Sul piano epidemiologico, tuttavia, è sempre più difficile condurre oggi studi in materia, perché non esistono popolazioni non esposte a queste radiazioni con cui confrontare il campione esposto. Per quanto concerne gli studi sperimentali le evidenze sono veramente numerose. Alcuni studi recenti (tra cui quello italiano dell’Istituto Ramazzini di Bologna) condotti su topolini hanno avuto vasta risonanza perché hanno anche dimostrato la possibile insorgenza di alcuni tumori rari. Tutti questi risultati, in particolare quelli di ambito biologico, dimostrano la pericolosità delle radiazioni non-ionizzanti per la salute umana e dovrebbero imporre grande cautela, soprattutto per quanto concerne l’esposizione sempre più precoce e diffusa di bambini, embrioni e feti.