Retroscena. Le partite parallele dei tre leader. Sfida a scacchi per un governo
Tra i nodi da sciogliere il nome del premier che verrà dopo Conte (nella foto Ansa)
Alla chetichella, con passo felpato, gli uomini di Zingaretti sono sbarcati a Roma per aiutare il "capo" a fare il punto. E il segretario dem ha messo sotto il naso dei suoi pontieri di fiducia un documento che fonti vicine al Tesoro gli hanno preparato: una vera e propria "due diligence" sui conti pubblici in vista della manovra che ha spaventato, e non poco, il governatore del Lazio. È il documento che fa dire a Zingaretti, durante la Direzione dem, che «abbiamo davanti una manovra mostruosa». Mostruosa, non difficile. Roba da stomaci forti. Già, ma ce ne sono in giro? C’è un premier per un’impresa del genere? E potenziali ministri con alto profilo politico e istituzionale, se ne vedono da una parte e dall’altra? Zingaretti non nasconde un filo di scetticismo e ammette che al momento l’unico "orizzonte" che tiene in piedi il negoziato con M5s è la necessità di allontanare Salvini da Palazzo Chigi. È poco, lo sa bene il leader dem e soprattutto lo ha detto chiaramente il capo dello Stato alle prime delegazioni salite al Colle.
I timori del segretario, il pressing dei gruppi
Il giorno decisivo per la trattativa tra dem e pentastellati è oggi. Zingaretti farà un altro passo avanti chiedendo un tavolo ufficiale. Sembra anche pronto a rimuovere il veto su Conte, ma il problema, ora, è che il premier dimissionario si è preso dei giorni di silenzio e riflessione che preoccupano molto anche M5s. Sembra provato dalla fine clamorosa dell’esecutivo con la Lega, il presidente del Consiglio dimissionario, e non è convintissimo delle prospettive che si aprono. È rimasto colpito anche dalla velocità con cui il Movimento ha fatto filtrare la voce per cui lui sarebbe "sacrificabile" nei nuovi scenari, anche se poi la voce è rientrata e ora c’è un pressing dell’intero M5s - a partire da Di Maio - perché dia la disponibilità a concedere un "bis" a Palazzo Chigi o quantomeno si faccia indicare come commissario a Bruxelles.
Ma il fatto che l’unico nome per la casella di premier sia quello di Conte dice la difficoltà di Pd e M5s ad aprire una fase nuova. Fico non convince. Poi ci sono ipotesi: Cantone, Giovannini, Cottarelli. C’è anche la consapevolezza, fronte dem, che bisogna allargare la cintura protettiva del possibile esecutivo, coinvolgere istituzioni di garanzia (Bankitalia, ad esempio) e pezzi di Paese (imprese, sindacati, terzo settore). Ma il tempo stringe e Mattarella non sembra voler fare sconti né mettere mano a uno "scouting" per conto dei partiti. Pur consapevole di queste difficoltà, Zingaretti (che non entrerebbe nella squadra di governo) è quasi costretto a proseguire nel negoziato per non essere scavalcato e delegittimato dai gruppi parlamentari, che vogliono un esecutivo e non molleranno.
Le telefonate di Salvini: lasciate tutto aperto...
Tra una conferenza stampa e l’altra, Salvini ha l’orecchio attaccato al telefono. Ha incaricato i fedelissimi di tenere aperti i canali di M5s. «Vogliono tornare indietro? – chiede a uno degli sherpa che sembra portargli buone notizie –, ma come fanno, dai... dopo tutto quello che hanno detto! Però porte aperte, mi raccomando, sino alla fine...». Difficile decriptare il senso di questo atteggiamento apparentemente ondivago. La prima sensazione è che Salvini voglia riempire di mine e depistaggi la strada che fa incrociare M5s e Pd. Addirittura, fonti leghiste affermano che almeno 15 parlamentari pentastellati sarebbero disponibili a sostenere in questa legislatura un governo di centrodestra. La seconda sensazione è che il capo della Lega davvero preferirebbe riprendere il cammino con il Movimento almeno per qualche mese. La sua strategia è un rebus.
Di Maio tace ma non chiude del tutto al Carroccio.
A fronte di una Lega aggressiva che prefigura scissioni in M5s, il Movimento fa trapelare altre liste di responsabili (di estrazione forzista) per appoggiare un nuovo esecutivo. È una guerra di nervi. Ma ufficialmente Di Maio è nel silenzio più totale. Non vuole compromettersi. Vuole vedere le carte dem. Fosse ancora il capo indiscusso, sceglierebbe la "catarsi" del voto. Ma anche lui ha gruppi che non vogliono andare a casa. Il che vuol dire due cose, una successiva all’altra: prima si parla con il Pd. Poi si prenderebbe in considerazione la proposta indecente di tornare con la Lega. Ma senza Conte, che non ne vuole più sapere. E non è affare da poco.