Il caso. Le mani della malavita sul Gargano, la politica alle corde. E la Chiesa parla
Dopo meno di due anni è costretto alle dimissioni il sindaco di Manfredonia, Gianni Rotice, eletto nel novembre 2021 dopo un lungo commissariamento per infiltrazione mafiosa. Dimissioni obbligate dopo quelle di parte dei consiglieri di maggioranza di centrodestra e di quelli dell’opposizione di centrosinistra, in tutto 14, più della metà del Consiglio comunale. Una notizia che «preoccupa e sconcerta la maggior parte dei cittadini», scrive in una nota l’arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, padre Franco Moscone, aggiungendo che la città «non ha bisogno di chiacchiere e pettegolezzi, ma di ricerca di verità e dedizione responsabile, di certezza di futuro!». Poi un chiaro riferimento allo scioglimento per mafia.
«Lo smarrimento per questa improvvisa crisi politica, il post crisi della politica locale che stiamo per vivere, le ferite inferte alla legalità, le lentezze nel ripartire dopo l’esperienza del già sperimentato e lungo commissariamento della città, non devono farci smettere di credere che esiste ancora il sogno di una “buona” cosa pubblica e che questo sogno, a Manfredonia, è realizzabile con il contributo e l’impegno di tutti». Ricordiamo che Manfredonia venne sciolto per gravissimi fatti tra i quali provati collegamenti di esponenti della maggioranza, allora di centrosinistra, e dell’opposizione, con esponenti della mafia garganica, in particolare coi clan coinvolti nella strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, quando venne ucciso il boss manfredoniano Mario Luciano Romito, suo cognato Matteo De Palma e due agricoltori, Aurelio e Luigi Luciani, colpiti perché testimoni dell’agguato. Uno scioglimento che seguiva di poco quello di un altro grande centro della Capitanata, Cerignola, e seguito da quello addirittura del capoluogo Foggia. Gravi segnali di una inquietante pervasività dei clan delle mafie foggiane, violente e sempre più capaci di inquinare politica e economia.
Lo stesso arcivescovo, il 31 agosto, in occasione della Festa patronale della Madonna di Siponto aveva denunciato con forza da un lato «la piaga del caporalato» (Manfredonia è terra di ghetti) e dall’altro la violenza criminale. «Ci sono troppe armi sul nostro territorio che lo trasformano in un far west senza set cinematografico, ma con la violenza come strumento per controllare le relazioni e decidere scelte che fanno capo alla strategia della paura favorendo pochi a scapito di tutti!». Parole che non erano piaciute ad alcuni che avevano attaccato l’arcivescovo sostenendo che il suo intervento era stato troppo sociale e politico. Ora, commentando le dimissioni del sindaco di Manfredonia, padre Franco replica alle critiche. «Qualcuno forse si chiederà perché al cuore di un Vescovo, di una Chiesa, interessi parlare di vita pubblica della città. Qualcuno forse si chiede perché la Chiesa debba parlare di queste cose». Cita la “Gaudium et Spes” del Concilio, aggiungendo che «ci sta a cuore come Chiesa la vita della nostra città; vogliamo che la cosa pubblica sia “buona” e che l’aggettivo “buona” corrisponda a vari livelli di azioni concrete nei confronti di tutti i cittadini, delle varie componenti della società, ciascuno nel suo protagonismo e ciascuno nella propria responsabilità civile».
Dunque un invito affinché «i mesi che ci attendono e separano dalla tornata elettorale non corrispondano a una già sperimentata inattività politica che, non facendo camminare la città e non prendendo le opportune e necessarie decisioni, sia solo caratterizzata da mera contesa elettorale. La politica sia veramente la modalità di esprimere la carità nella cosa pubblica».
cose».
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