Intervista. Il sindaco Sala: «Casa e sicurezza, Milano è sola»
Giuseppe Sala ieri alla deposizione delle corone al sacrario dei Caduti in largo dei Caduti Milanesi
«Una città come Milano raccoglie persone e problematiche contemporanee da tutto il mondo, ed è il mondo ad essere diventato più difficile. Io ci sto a prendermi critiche e responsabilità come deve fare chiunque faccia politica. Ma una cosa non la accetto: che si dica che non ho a cuore il tema della sicurezza, che ne sono inconsapevole o che sostenga che vada tutto bene».
Giuseppe Sala è il sindaco di Milano. Eletto per la prima volta nel 2016, ha bissato la vittoria nel settembre 2021. Ma se il primo mandato è stato caratterizzato dalla Milano scintillante e vincente del post Expo, in questa seconda fase non mancano le critiche – anche feroci – soprattutto sul piano della sicurezza.
Signor sindaco, l’ultimo aggettivo per Milano è “pericolosa”.
Non è vero che Milano sia la città più pericolosa che c’è in Italia ma non è nemmeno vero che non ci sia il problema. Tant’è che con i pochi soldi che abbiamo stiamo assumendo soprattutto vigili. Poi ho chiesto una mano a un esperto come il prefetto Franco Gabrielli, già capo della polizia e sottosegretario con delega ai servizi di sicurezza. Quindi il problema esiste. E deriva, secondo me, da una serie di questioni. Primo, questa è una città ricca, quindi attira i malintenzionati. Poi c’è un palese distacco tra la giustizia e la pena e la gestione della sicurezza: oggi chi delinque rischia troppo poco.
Sala “sceriffo legge ed ordine” che invoca mano dura e più celle?
No, nella maniera più assoluta. Sia chiaro: non invoco atteggiamenti eccessivamente duri per mantenere l’ordine, anzi mi spaventa una simile possibilità. Ma penso che nel nostro Paese, rispetto ad altre realtà, ci sia una questione di impunità. Però mettiamoci in testa che non basta l’aspetto della repressione per risolvere il problema della sicurezza. Prendiamo l’esempio dei minori non accompagnati. In Italia, secondo le stime del ministero dell’Interno, ci sono 21mila minori soli. Di questi 1.500 sono a Milano quindi in proporzione molto più che altrove. A questi ragazzi (che per il 97% sono maschi e con un’età tra i 16 e i 18 anni) dovremmo dare un posto dove stare, un letto dove dormire e proporre un cammino per istradarli, farli studiare. E invece quanti posti abbiamo nei nostri spazi di accoglienza? 400. E per gli altri? Perché è chiaro che sono ragazzi disperati e quindi servono più strumenti e strutture altrimenti finiscono nelle mani della criminalità. Ma non ci sono soldi, da Roma non arrivano. E non è per criticare un governo del quale io sono all’opposizione, ma per risolvere un problema sentito dalla gente.
Ma al di là delle mancanze più generali, Milano come può organizzarsi per migliorare?
Ho chiesto al prefetto Renato Saccone di condividere gli esposti che fanno i cittadini alle forze dell’ordine. Se uno viene presentato in questura o dai carabinieri deve essere portato a conoscenza anche del Comune. Così la polizia locale potrà intervenire se è qualcosa che è nelle sue competenze. Condividere le informazioni può aiutare. E poi occorre intervenire sulle tecnologie. Le telecamere ad esempio. Con le nostre possiamo ricostruire a posteriori quello che è accaduto e basta. Abbiamo bisogno di modernizzare. In altre grandi città all’estero il sistema è in grado di monitorare in tempo reale movimenti specifici: ad esempio se una macchina rossa viene segnalata come pericolosa, il sistema segnala tutte le macchine rosse in un determinato quadrante. E così se una persona si muove troppo velocemente. Ma anche in questo caso servono soldi che non abbiamo.
Dal prefetto Gabrielli quali indicazioni sono arrivate?
Non voglio anticipare niente perché ci stanno lavorando lui e gli assessori Marco Granelli e Lamberto Bertolé. La polizia municipale può fare molto e stiamo pensando ad alcuni correttivi sia per quanto riguarda i numeri, cioè più personale in strada la sera, che l’organizzazione. In passato la polizia locale è stata caratterizzata per un’estrema specializzazione. Non so se è stata una scelta così giusta. Quello che serve è una maggiore e più visibile presenza sul territorio.
È dei giorni scorsi la notizia che ci sono alcuni condomini che si prendono i vigilanti. Cosa ne pensa? Non c’è il rischio di fare delle differenze ulteriori tra chi si può permettere di pagarsi la vigilanza e chi no?
Non è la soluzione ideale. Ma faccio una domanda a mia volta, ovvero perché nella sanità e nell’assistenza il privato può intervenire? È chiaro che a volte il privato interviene per coprire le debolezze del pubblico, che ci piaccia o meno.
Parliamo di casa. Negli ultimi tempi studenti ma anche lavoratori hanno sollevato il problema degli affitti cari che rendono impossibile vivere in città. Che pensate di fare?
Stiamo facendo un esperimento: affittare nostri appartamenti a chi accetta di occuparsi della ristrutturazione. Poi stiamo rilanciando il canone concordato. E poi gli oneri di urbanizzazione: li differenziamo molto tra centro e periferia per rendere più interessanti i nuovi investimenti immobiliari in periferia. Infine, in ogni grande progetto chiediamo di tenere una quota significativa di edilizia convenzionata. Ma anche qui mi domando che fa il governo? Veramente poco. Non c’è un piano casa. L’ultimo, il piano Fanfani, è degli anni 50-60. Mancano misure per sostenere misure di sostegno agli affitti , anche se il governo sta portando a casa con l’aumento della cedolare secca tante risorse. A Milano diamo 3.000 euro all’anno per tre anni agli under 35 che hanno avuto un figlio nel 2023: può sembrare poco, ma è il più importante aiuto che ci sia in Italia. E infine gli affitti brevi, cioè il modello Airbnb: è scandaloso non affrontare la questione, ma se la partita è in mano alla ministra del Turismo che ha interesse che ci siano quante più case possibile in affitto turistico…
Tra le nuove emergenze, spicca quella dei senza dimora. Un numero che appare in crescita.
Stiamo facendo un censimento quantitativo e qualitativo. Non contiamo solo le persone ma vogliamo meglio anche capire i loro bisogni. Credo che alla fine il numero si aggirerà intorno ai 3mila. Abbiamo 1.000 posti letto nei nostri centri e poi c’è una disponibilità di altri 1.000 in residenze sociali temporanee; nei mesi freddi (quest’anno dal 27 novembre) cresciamo ancora. Ma molto spesso i letti rimangono vuoti. Per questo ho chiesto che vengano approfondite le istanze di chi resta fuori: al d là del naturale desiderio di taluni di vivere la strada, c’è il timore di perdere le proprie cose, che per noi può sembrare poca roba ma per loro è tutto. Ma c’è una cosa che più mi preoccupa, ovvero l’esplosione dei problemi legati alla salute mentale: è un problema più del sistema sanitario regionale che nostro, però alla fine la gente guarda noi, il Comune e quindi ho chiesto all’assessore Bertolé di lavorarci.
Un’ultima domanda. Si dice che lei sia stanco di fare il sindaco.
Sono abituato a lavorare duramente. L’ho fatto per tutta la vita e continuerò a farlo, ma la pressione è molto forte e cresce ogni giorno. Penso a quel povero diavolo che verrà dopo di me…