Coronavirus. Le cifre oscure dei decessi della Lombardia
La cifra oscura inizia a venire alla luce. Sotto la lente ci sono i numeri, ma quelle cifre sono costruite sulle delle persone, sul dolore di parenti e amici, sulle biografie della tragedia. Quanti sono, veramente, i morti per il Covid-19 in Lombardia? Occorre andare oltre i dati ufficiali, hanno detto in tanti, perché i conti non tornano. L’Istat ha così messo a disposizione le statistiche sull’andamento dei decessi di un campione significativo di comuni italiani, inquadrando in particolare le prime tre settimane di marzo. Nel database ci sono oltre 400 comuni lombardi (su un totale di 1.506), che rappresentano comunque una popolazione consistente, 5,6 milioni di residenti, cioè il 56% del totale regionale. Cosa emerge? Dal 1° al 21 marzo 2019, in queste località lombarde si erano avuti 3.508 decessi; nello stesso periodo di quest’anno, il più martoriato dall’avanzata del coronavirus, le morti sono state invece 8.558. C’è cioè una differenza di 5.050 vite spente, un aumento del 143%. Proiettando questo trend sull’intera regione, calibrandolo con i pesi delle province più o meno colpite, la stima è che l’aumento dei decessi sia tra gli 8.400 e i 9.000 casi. Tutte vittime del coronavirus? Il sospetto
è concretissimo e scava nelle morti più solitarie nelle Rsa o nelle abitazioni, e poi tra quelle vite interrotte negli ospedali senza nemmeno il tempo di eseguire il tampone. Di contro ci sono i dati ufficiali, che raccontano qualcosa di parziale: nello stesso periodo, infatti, il bollettino regionale ha contato 'solo' 3.433 decessi.
La situazione non è ovviamente omogenea sul territorio lombardo. Nei comuni campione della Bergamasca, l’aumento è del 454% e porta a una stima solo per quelle tre settimane - di circa tremila decessi per Covid (si superano abbondantemente i 4mila considerando anche gli ultimi dieci giorni di marzo); +282% in provincia di Cremona (oltre 700 la proiezione dei morti), +246% nel Lodigiano (più di 400 le vite spezzate), +188% nel Bresciano (1.400 i possibili morti), +137% nel Pavese (500 i decessi stimati). In provincia di Milano l’aumento è stato 'solo' del 41%, con circa 800 morti ipotetici; in città, 154 i morti 'in più' accertati per quelle tre settimane.
L’aumento dei decessi rispetto a marzo 2019 nella Bergamasca
+188%
L’incremento dei morti nei comuni campioni Istat del Bresciano
+282%
La crescita delle morti nel Cremonese rispetto a marzo 2019
+246%
L’impennata di vite spezzate nei comuni campione Istat di Lodi
Altri numeri, più confortanti, sono invece condensati nel bilancio quotidiano di Regione Lombardia. «Un trend positivamente stabile», ha sintetizzato il vicepresidente Fabrizio Sala, che ieri ha sostituito Giulio Gallera - impegnato in un vertice con Fontana sulla 'fase 2' - nel consueto appuntamento. Ieri i nuovi casi sono stati 1.292 (il totale dei positivi è 46.065), meno dei 1.565 registrati mercoledì, e in percentuale quel
+2,89 nei contagi giornalieri si traduce nel secondo dato migliore dall’inizio dell’emergenza, peraltro con un numero di tamponi particolarmente alto (6.837 in 24 ore). C’è addirittura un segno 'meno', alla voce ricoverati: ieri gli ospedali lombardi ne hanno ospitati 165 in meno rispetto alla giornata di mercoledì, col totale che scende a 11.762; stabili i posti occupati nelle terapie intensive, 1.351 (+9). Resta drammatico però il bilancio delle vittime ufficiali, al netto della cifra oscura: sono 7.960, ieri se ne sono aggiunte 367. Il leitmotiv resta quello della guardia che non può abbassarsi, a maggior ragione ora che arrivano i segnali incoraggianti: «Le passeggiate sono estremamente negative, mettono a repentaglio la nostra salute e quella degli altri», ha ribadito Sala. C’è un altro numero che allarma la regione, cioè quello legato agli spostamenti giornalieri: mercoledì sono aumentati dell’1% (cioè il 37% dei cittadini si è mosso), che si traduce in parecchie migliaia di persone in più per le strade, per i supermercati, o a passeggiare.