Rosarno. Contese le abitazioni per gli stagionali. Ma il sindaco le vuole
Le palazzine bianche di Rosarno, pronte eppure ancora completamente disabitate
Quarantadue appartamenti, più di 250 posti letto. E altri 120 posti singoli. Tutti per gli immigrati. Nuovi, costruiti con fondi europei e del Viminale, 5 milioni di euro. Ma inutilizzati e in alcuni casi occupati abusivamente o vandalizzati. Accade a Rosarno, a pochi chilometri dalla vergognosa baraccopoli di San Ferdinando. E mentre le istituzioni discutono senza trovare una soluzione, questa in realtà c’è. O almeno parziale. Non tende o container, ma case vere.
Finite da tempo, ma colpevolmente abbandonate, mentre c’è chi specula col solito «prima gli italiani». Compresa l’amministrazione comunale. Noi siamo andati a vedere. Quartiere 'Serricella', periferia di Rosarno. Sei palazzine bianche a tre piani, 36 appartamenti, ognuno per 6 persone. Nel 2011 la Regione stanzia 3 milioni di euro, fondi europei Pisu destinati alle zone ad alta densità di migranti, vincolati alle categorie svantaggiate. Furono finanziati interventi a Rosarno, Vibo Valentia, Corigliano- Rossano e Lamezia Terme (per i rom). Ce lo ricorda Elisabetta Tripodi, allora sindaco di centrosinistra mentre la Regione era governata dal centrodestra. «Oltre alle palazzine da realizzare su un terreno comunale, decidemmo di ristrutturare un edificio confiscato al clan Pesce nel centro della città con altri 6 appartamenti». I lavori sono iniziati nel 2015 e terminati pochi mesi fa. Manca solo l’assegnazione.
Ma l’attuale giunta di centrodestra, sindaco Giuseppe Idà, prende tempo e chiede alla Regione di eliminare il vincolo di destinazione, per assegnarle ai rosarnesi. Ma non si può fare. Quei fondi hanno una precisa destinazione europea. «Non escludevamo altre categorie svantaggiate e quindi le polemiche sono strumentali – accusa l’ex sindaco –. Oltretutto Idà allora era collaboratore dell’assessore alle Politiche sociali che ci fece avere il finanziamento». Ci spostiamo nel centro di Rosarno. Anche nella casa confiscata i lavori sono finiti ma non ci abita nessuno, tutto chiuso. Assurdo. Proprio ieri in prefettura a Reggio Calabria si è tenuta una riunione del Tavolo tecnico permanente per i lavoratori extracomunitari. Nel corso dell’incontro si è nuovamente fatta l’ipotesi di usare beni confiscati. Nessun riferimento però a quello di Rosarno, già pronto da mesi e inutilizzato.
Il rischio è che ora le palazzine siano occupate abusivamente. Rischio concreto. La recinzione attorno alle palazzine è stata rotta. All’interno si vede un’auto parcheggiata. Le finestre di alcuni appartamenti sono aperte. Si affaccia una persona, getta dei rifiuti, ci guarda. Meglio allontanarsi. C’è il precedente del Villaggio della solidarietà costruito nell’area della Betom Medma, ex cementificio confiscato alla cosca Bellocco, costato quasi 2 milioni di euro, finanziati dal Pon Sicurezza del Viminale. Doveva ospitare un centro di formazione lavoro per migranti, con 120 posti letto, ma i lavori si sono fermati dopo l’interdittiva antimafia che ha raggiunto l’impresa che li stava realizzando. È stato così vandalizzato, portati via infissi, cavi elettrici, condizionatori, materassi. Il 19 marzo 2016 venne occupato da 12 famiglie rosarnesi che misero degli striscioni con le scritte 'Villaggio Italia', 'Prima i rosarnesi'. Si scoprì che alcune erano ben note alle forze dell’ordine. Ci siamo tornati. I lavori non sono mai stati finiti, la vandalizzazione è proseguita e anche l’occupazione. C’è addirittura chi ha messo una cassetta per la posta col suo cognome.
Ma lo spreco non si ferma qui. Il 9 gennaio 2016, in contrada 'Donna Livia' di Taurianova, altro paese della Piana, venne inaugurato il Centro polifunzionale per l’inserimento sociale lavorativo degli immigrati. Costato circa 650mila euro, di nuovo Pon Sicurezza. Mai entrato in funzione. E mentre le case costruite per gli immigrati restano inutilizzate, nelle campagne della Piana vivono in condizioni intollerabili. Come in contrada Russo Spina, proprio nel Comune di Taurianova. Casette diroccate, baracche, porcilaie. Tutto coperto di teloni di plastica e rinforzato con lastre di Eternit, amianto. Ci vivono in 130, tra fango e rifiuti. Entriamo coi volontari in una lunga casetta per visitare un immigrato ammalato. Il buio è squarciato dalla luce che filtra dal tetto rotto, solo parzialmente coperto dalla plastica. L’aria è pesante. Si intravede un’interminabile fila di giacigli (definirli letti è troppo). «Quanti siete? ». «Cinquanta». Uno a fianco all’altro. Senza spazi, tranne uno stretto corridoio tra le due file di 25 'letti'. Ognuno ha un secchio chiuso davanti. Forse un armadietto. I vestiti pendono dal soffitto, tristi festoni di questa drammatica camerata. Così vivono gli 'invisibili' della Piana, mentre le case a loro destinate restano vuote o vengono occupate illegalmente. E nessuno vede o vuol vedere.