Migranti. Le Caritas del Sud in rivolta: non saremo albergatori, accoglieremo gratis
La solidarietà continua ad operare nonostante le scelte e gli attacchi del governo (archivio Ansa)
«Non ci possono ridurre a fare gli albergatori». Così reagiscono molte Caritas e diocesi del Sud ai nuovi bandi per l’accoglienza dei migranti che tagliano pesantemente i servizi per integrazione e inclusione, così come voluto dal ministro Salvini. Dunque non parteciperanno ma torneranno a fare quello che hanno sempre fatto, un’accoglienza di volontariato senza alcuna spesa per le casse dello Stato. E qualcuno lo ha già fatto da mesi, come la Caritas di Aversa. «Già dall’anno scorso – spiega il direttore, Don Carmine Schiavone – abbiamo chiuso e non abbiamo più aderito. Ora ci occupiamo solo dei corridoi umanitari e dei senza fissa dimora, immigrati e italiani». Una scelta netta. «Non riuscivamo ad accogliere indicazioni che ci sembravano “immorali” perché non andavano verso l’attenzione alla persona. Avevamo già sentore di quello che poi è successo con le decisioni del ministro Salvini. Noi dobbiamo avere il dono della parola e non del tacere. Per questo col nostro vescovo Angelo Spinillo abbiamo deciso di non accettare».
Stessa decisione presa dalla Caritas di Teggiano-Policastro, e dal vescovo Antonio De Luca, che è anche delegato Migrantes della Conferenza episcopale campana. «Se la scelta del ministro Salvini è di abbassare la cifra e di tagliare i servizi di integrazione, la nostra decisione è di non partecipare», sottolinea il direttore don Martino De Pasquale che manda un preciso messaggio al ministro: «Se ritiene che noi rubiamo, che ne approfittiamo, con quelle cifre la faccia lui l’accoglienza. Noi faremo l’accoglienza di Chiesa che abbiamo sempre fatto e non abbiamo mai smesso di fare. Inoltre siamo molto impegnati coi corridoi umanitari. E assieme a Caritas italiana e Arci abbiamo appena aderito al progetto Fami sul caporalato».
Decisioni analoghe a quelle prese dalla Caritas di Gaeta che aveva un piccolo Cas. «Lo abbiamo da poco ristrutturato – dice il direttore don Alfredo Micalusi – e potremmo riaprire ma non lo faremo, e d’accordo col vescovo Luigi Vari non abbiamo dato la disponibilità alla prefettura. Non intendiamo ridurci ad albergatori, non è il nostro stile». I motivi sono chiarissimi. «Per tanto tempo dalla prefettura quasi ci minacciavano per accogliere gli immigrati: ve li scarichiamo davanti alla porta se non venite a prenderli. Prima ci hanno imposto di prenderli e ora fanno i tagli».
Ma non è una questione di soldi. «Abbiamo lavorato molto sull’integrazione, la scuola di italiano la facevamo tutti i giorni. Ma ora non ci sono più i margini. Fare accoglienza senza scuola di italiano, senza sostegno psicologico, senza un orientamento forte all’integrazione, è inutile. Si vuole distruggere l’accoglienza diffusa che è proprio lo stile Caritas, con una comunità che se ne prende cura».
E non è una scelta solo della Caritas di Gaeta: «Abbiamo riunito tutte le realtà del Sud Pontino che si occupano di accoglienza e ci siamo interrogati su quale sarà l’impatto del decreto sicurezza. Sicuramente verranno a bussare alle nostre porte molti immigrati ai quali non viene rinnovato il permesso umanitario e finiscono per strada. Molti li stiamo già ospitando». Il motivo è evidente: «Come Caritas dobbiamo orientarci soprattutto alle fasce più deboli, quelle non protette dal circuito dell’accoglienza». Piuttosto, denuncia don Alfredo, «con questi tagli il rischio ora è che si facciano avanti solo i furbi. Alcuni sono già stati identificati dalle forze dell’ordine, ma ce ne sono anche altri che ci mangiano. Ci lucrano le mafie del territorio. Bisognerebbe vigilare di più».
Situazioni complesse, realtà diverse, ma analoghe decisioni. «Non abbiamo partecipato al nuovo bando perché non ci sembrava che le condizioni potessero permettere i minimi requisiti di umanità – spiega Carlo Mazzotta, rappresentante legale dell’associazione Vento nuovo, braccio operativo della Caritas di Lecce –. Col nostro vescovo Michele Seccia, abbiamo deciso che non possiamo ridurci a albergatori e quindi faremo tutto in maniera gratuita come Caritas diocesana, senza l’aiuto del governo. Dando quello che possiamo, però con la certezza dell’umanità. Perché nel bando non c’è».
Una scelta che viene dopo un impegno concreto di accoglienza per 106 immigrati in piccoli appartamenti a Lecce, come Cas diffuso. «Abbiamo cominciato tre anni fa su richiesta della Prefettura per 27 euro. Dopo due anni abbiamo regolarizzato con un bando a 34 euro. Scadeva il 31 dicembre 2018, ma ha avuto una proroga fino al 30 aprile. Abbiamo fatto un documento condiviso con Arci e cooperativa Rinascita, che sono i più grossi gestori con noi dell’accoglienza, per ribadire che non parteciperemo. E non abbiamo partecipato. Ora stanno ripetendo il bando con qualche ritocco ma non parteciperemo lo stesso».
Con numeri ridotti ma con lo stesso impegno: «Come chiesa locale continueremo con 50 persone. Sicuramente spenderemo molto meno dei 21 euro del bando, grazie al volontariato. Ma preferiamo essere liberi. Dare un pezzo di pane ma in modo serio, non la presa in giro di togliere servizi». Con molta attenzione a nuove emergenze: «Stiamo vedendo come reperire degli immobili per poter ospitare le persone che avranno difficoltà dopo il decreto sicurezza. Ce ne saranno moltissime nel Salento. E poi da noi gli sbarchi con piccole imbarcazioni continuano, anche se non si deve dire».