Si infilano a piccoli gruppi tra i tubi innocenti, vincendo il senso di vertigine, per andare incontro a San Bernardino. Nessun aquilano ha mai visto il Santo senese così da vicino, da quando un allievo di Luca Giordano l’ha dipinto quassù, mentre la bottega di Ferdinando Mosca da Pescocostanzo finiva di decorare il soffitto dorato con i ceci, un effetto speciale del ’700, come spiega la guida. La basilica che fino al terremoto custodiva le spoglie mortali di Bernardino da Siena è il primo cantiere avviato nel centro storico ed è per questo che la Sovrintendenza ha deciso di aprirlo alle visite. Su appuntamento, chiunque può salire sulle impalcature e assistere ai restauri. La scelta non è casuale: siamo nel cuore della devozione aquilana, da queste navate s’incammina la processione del Venerdì Santo e il campanile sbrecciato è stata una delle immagini strazianti che il 6 aprile 2009 hanno fatto il giro del mondo. «Non so se basteranno quattro miliardi di euro per restituire all’Aquilano i monumenti danneggiati dal sisma ma so che dovremo trovarli perché non abbiamo alternative », ci spiega il vicecommissario delegato ai beni culturali, Luciano Marchetti, un veterano dei terremoti. Segue personalmente numerosi progetti di restauro, a partire da quelli finanziati con le adozioni internazionali e dalle 'chiese di Natale' (116 già restituite al culto, 43 pronte nei prossimi mesi).
Il terremoto ha ferito la quasi totalità dei monumenti della città, che rappresentano la base produttiva della sua industria culturale e turistica, ma anche un fattore identitario. Non a caso, le visite a San Bernardino hanno tanto appeal. Non a caso, qui si parla ancora con pudore del futuro di santa Maria di Paganica, una delle chiese nate con la città e della quale restano solo i muri perimetrali. Non a caso i lavori al Teatro comunale o a palazzo Ardinghelli sono annunciati con grande pompa dai politici. Non a caso, infine, il ministero dei Beni culturali ha già aperto una quarantina di cantieri in città e fa di tutto per proteggere e valorizzare l’immenso patrimonio artistico che era custodito in chiese e palazzi dell’Aquila. L’ultima collezione, la Signorini- Corsi, viene trasferita in questi giorni a Sulmona, ci annuncia Fabrizio Magani, direttore dei beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo, prima regione ad aver completato la verifica della vulnerabilità sismica degli edifici di interesse storico artistico. Questa corsa contro il tempo è assolutamente motivata: basta parlare con uno dei restauratori che incontri sui ponteggi di San Bernardino per rendersi conto dello scempio che umidità e ghiaccio producono nelle strutture lesionate.
Tuttavia, è proprio dalle profondità dei muri agonizzanti dell’Aquila medievale e rinascimentale che giunge, malgrado tutto, una buona notizia. Un convegno organizzato dal Mibac insieme al Comune dell’Aquila, alla Cciaa e a diverse Università, ha svelato che chiese e palazzi antichi hanno retto egregiamente al 5.9 richter che ha ucciso 308 persone e ne ha ferite 1600, perché l’edilizia storica aquilana, diversamente dalle costruzioni moderne, sarebbe stata realizzata con criteri antisismici. Gli studiosi non si sono spinti a dichiarare che, diversamente, il tributo di sangue sarebbe stato ben più pesante, ma hanno confermato che i danni non sono imputabili alle murature storiche – realizzate, come scriveva Nicola Cavalieri San Bertolo nell’Ottocento, come «un ammasso artefatto di pietre disposte in guisa tale che quelle forze, per cui tenderebbe ciascuna di esse a spostarsi, s’impediscano e si elidano nel vicendevole conflitto» – quanto alle trasformazioni che quelle hanno subito nel corso del tempo, a partire dal 'generoso' inserimento di elementi di cemento armato delle ristrutturazioni anni ’50 e ’60.
«Abbiamo effettuato numerosi test sulle strutture aquilane – ci dice Sergio Lagomarsino, ordinario di tecnica delle costruzioni all’Università di Genova – e i cedimenti sono da ricondurre alle modifiche apportate, non alle murature antiche dell’Aquila che hanno resistito alle sollecitazioni meglio di strutture più moderne. Del resto, dove, come in Abruzzo, sono frequenti i terremoti se ne conserva l’esperienza nella tecnica delle costruzioni, che per almeno due generazioni utilizza i sistemi di prevenzione necessari, come l’inserimento di catene e di legno nelle murature. Non a caso resta poco di Santa Maria di Paganica, che fu riparata dopo il sisma del 1703, mentre S.Agostino, che fu ricostruita ex novo, ha retto».
DAL GOVERNO 30 MILIONI, NE SERVONO 130
Spettrale e caotica. L’Aquila si presentava così nei giorni di Natale. Il centro storico aspetta una ricostruzione che non parte. Tutt’intorno, la città delle Case e dei Map, dei nuovi quartieri satelliti, affoga nel traffico: il sisma ha tolto le case agli aquilani ma ha moltiplicato le loro automobili. La rassegnazione della gente è palpabile: la perenne schermaglia tra il governatore del centrodestra (e commissario alla ricostruzione) Gianni Chiodi e il sindaco di centrosinistra Massimo Cialente non si arresta neanche di fronte alla consapevolezza che, passato Berlusconi, l’Aquila non è più una priorità per la politica nazionale. «Per il 2011 – ha detto il primo cittadino – per il cratere sono stati stanziati 350 milioni di euro, 280 nel 2010, mentre per il 2012 sono previste risorse per soli 30 milioni di euro». Certi numeri parlano.
Ieri, Cialente e Chiodi hanno incontrato il premier rivendicando quel che manca, 130-160 milioni di euro secondo i punti di vista. Per Monti devono bastarne trenta e il vertice si è concluso con un rinvio. «Abbiamo ottenuto – ha dichiarato Cialente uscendo da Palazzo Chigi – la proroga di tutti i contratti di lavoro e la copertura delle spese dell’emergenza per tre mesi. Nel frattempo è stato stabilito, su mia proposta, di istituire un tavolo di lavoro a Roma per quantificare le spese dell’emergenza e della ricostruzione e per programmare le risorse economiche da stanziare per il 2012».
Nel cratere, finora, sono partiti solo i lavori sugli alloggi meno danneggiati. Cialente ci spiega che «con 530 milioni l’Aquila ha ripristinato 20.000 abitazioni e 40.000 cittadini sono rientrati in casa». Vero, ma mancano all’appello ancora le abitazioni inagibili (8.500) e tutto il centro storico (più di 10.000 alloggi). Il fabbisogno – monumenti esclusi – è di 4,8 miliardi. Nell’Italia delle manovre di salvezza, l’Aquila è una grande voce di spesa. Secondo il sindaco i soldi ci sarebbero, ma si tira in lungo per non spenderli: «Sono stati stanziati tre miliardi di fondi Fas e 1,5 disponibili alla cassa depositi e prestiti» finora «artatamente bloccati»; sottinteso, da Chiodi e dalla Struttura tecnica di missione, il braccio operativo del commissario, guidata da Gaetano Fontana che una volta era un grande amico del sindaco e del Pd aquilano, ma che poi ha cercato di imporre ai comuni terremotati un’unica pianificazione della ricostruzione. E l’amicizia si è rotta.
Nei prossimi giorni, il sindaco renderà pubblico un piano di ricostruzione che prospetta «una città ad alta qualità della vita, turistica, che attrae industria high tech e iniziative di alta formazione», ma soprattutto «che riporta subito nel centro storico tutti gli uffici pubblici». Vuole «rivitalizzare in fretta il centro» e sta cercando di snellire le procedure per l’erogazione dei contributi alle imprese di costruzione, ma soprattutto insiste perché si autorizzino i progetti di ricostruzione conformi al vigente Prg, saltando a piè pari Chiodi, la Stm e i loro piani di ricostruzione...
Al di là dello scontro politico, c’è il rischio concreto di un deficit di cassa: senza una scala delle priorità i lavori alle novemila 'case E' (totalmente inagibili) che si trovano fuori dalle mura dell’Aquila e a tutte le altre ubicate nei 63 Comuni terremotati rischiano di assorbire tutti i fondi disponibili per tre anni. Sarebbe il colpo di grazia per il centro storico, sulla cui sorte grava l’incognita dell’elevato numero di seconde case, per le quali al momento non è previsto alcun contributo.
Per sbloccare l’empasse, ieri Cialente ha inviato a Palazzo Chigi la bozza di una nuova ordinanza. Prevede di concedere il contributo a tutti gli immobili danneggiati «a qualunque uso adibiti», cioè comprese le seconde case, individua parametri di costo più oggettivi (i pochissimi cantieri partiti in questi due anni sono già sotto inchiesta; ndr) ma anche procedure più snelle per l’autorizzazione dei progetti; inoltre, crea canali di finanziamento 'paralleli' che devono garantire risorse congrue e immediate ai centri storici; infine, pur non rivedendo l’elenco dei centri terremotati che fu al centro di molte polemiche, impone di tenere conto, nell’assegnare i finanziamenti, del livello di danno effettivamente rilevato in ciascun Comune e della popolazione che vi risiede.