25 aprile. Landini: «Liberiamoci da precarietà e insicurezza»
Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini
Resistenza alle logiche della guerra e dello sfruttamento, liberazione dalla precarietà e insicurezza sul lavoro, riaffermazione dei valori della Costituzione. Si possono sintetizzare così le finalità con cui Maurizio Landini declina la presenza della Cgil nelle piazze del 25 aprile. Assieme all’avvio della raccolta di firme per 4 quesiti referendari.
Segretario, siete reduci da scioperi generali e manifestazioni ogni settimana. Oltre a celebrare la Liberazione dal nazifascismo, qual è il significato oggi per la Cgil di manifestare il 25 aprile?
Innanzitutto, la liberazione dal fascismo è – e dovrebbe esserlo per tutti – l’elemento fondante della nostra Costituzione e della nostra Repubblica. I principi che hanno ispirato la lotta per la liberazione devono vivere quotidianamente perché la Costituzione bisogna applicarla ogni giorno nell’agire di ognuno, a partire da chi ha responsabilità politiche. Per noi Liberazione oggi ha un significato in più: è lotta contro ogni forma di deriva autoritaria, è costruzione delle condizioni di Pace. I nostri Costituenti che avevano vissuto il dramma della guerra, non a caso, hanno voluto scrivere l’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra”.
Avete depositato in Corte di Cassazione quattro quesiti referendari: due sulla tutela dai licenziamenti illegittimi, uno per limitare i contratti a termine, l’ultimo sulla sicurezza nel lavoro in appalto. Ma in altri casi le consultazioni sono state fermate o sono fallite. Perché avete deciso di ripercorrere questa strada?
Tra i maggiori ostacoli che incontriamo nel nostro lavoro sindacale ci sono le leggi sul lavoro approvate in questi anni dai diversi governi. Una legislazione figlia di un modello di fare impresa che contestiamo fortemente, che genera precarietà, insicurezza, bassi salari, un’insana competizione tra le persone e di conseguenza scarsi investimenti e ritardi sull’innovazione dei prodotti. Vogliamo cancellare la precarietà e affermare la libertà nel lavoro. Per questo abbiamo deciso di utilizzare tutti gli strumenti democratici che abbiamo a disposizione: i referendum, le proposte di legge di iniziativa popolare, e contemporaneamente intensificare la nostra attività di contrattazione a partire dalle vertenze sugli incrementi salariali e la riduzione degli orari di lavoro nei contratti nazionali.
Dal confronto con il Governo, però, avete già ottenuto alcuni risultati sugli appalti…
Certo, e li rivendichiamo. Aver reintrodotto negli appalti la parità di trattamento economico e normativo, nonché l’applicazione dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative è il successo della nostra lotta e un indubbio arretramento da parte del Governo. Ma sul versante degli appalti c’è ancora tanto da fare: la patente a punti non è quello che avevamo richiesto. E su altri versanti, previdenza, sanità, fisco, politiche industriali, il Governo è latitante, non c’è nessun confronto e ha deciso di procedere in direzione opposta alle nostre richieste.
Si sono allargate le differenze di valutazione e strategiche con la Cisl. Oggi manca non solo l’unità d’azione, ma sembrano divergere profondamente i modelli di riferimento – conflittuale e più politico il vostro, negoziale e partecipativo per la Cisl. Il futuro del movimento sindacale sarà all’insegna di diversità e competizione tra sigle? I lavoratori non saranno più deboli?
Insieme alla Uil stiamo coerentemente proseguendo una mobilitazione iniziata unitariamente, in quanto il Governo non ha dato risposte. Noi non abbiamo cambiato idea. Contrapporre, poi, il sindacato conflittuale e quello partecipativo come modelli antitetici non ha alcun senso. Nella storia del sindacato confederale sono sempre stati due momenti necessariamente intrecciati. La democrazia è governo del dissenso e del conflitto o non è. Partecipare significa per un sindacato essere portatore dei bisogni, degli interessi e delle idee del mondo del lavoro che si vuole rappresentare. La contrattazione e mediazione tra i diversi punti di vista e le diverse soggettività che convivono nelle imprese e nella società, altrimenti diventa adesione alle scelte delle imprese o dei governi di turno. L’unità sindacale è innanzitutto un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori, che per poterlo esercitare hanno bisogno della democrazia. È per questo che insieme alla Uil sosteniamo la necessità di una legge sulla rappresentanza. Noi siamo per un modello sindacale fondato sulla contrattazione, sull’autonomia da governi ed imprese, sulla democrazia, sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare piattaforme e accordi che li riguardano. La storia ci dice che in una democrazia matura il conflitto, quando è necessario, è utile per affermare diritti per le persone che si vogliono rappresentare. E la stessa storia ci dice che il tratto culturale del movimento sindacale italiano è sempre stato politico proprio per gli interessi generali che si vogliono tutelare. Per quanto riguarda il futuro del movimento sindacale mi sento di dire che dipenda più da come si riuscirà a incidere per cambiare l’attuale modello sociale piuttosto che dalle scelte delle singole organizzazioni. La novità di questa fase storica è la presenza e l’azione di un governo che non vuole riconoscere questo ruolo al sindacato confederale, fino a mettere in discussione la nostra Costituzione.
Ogni morte sul lavoro è una sconfitta umana oltre che una tragedia, ma la situazione rispetto ai decenni passati è in miglioramento. Per essere più efficaci mancano di più ulteriori norme o una maggiore responsabilità delle imprese ed è su questo che occorre fare prioritariamente pressione?
Rispetto al passato, siamo in possesso di tecnologie straordinarie. Automazione, robotica, intelligenza artificiale già oggi possono essere utilizzate per prevenire gli incidenti sul lavoro e fortunatamente già esistono delle esperienze positive. La verità è che la condizione che denunciamo sulla sicurezza è figlia di un modello sociale fondato sullo sfruttamento, su pesanti ritmi di lavoro, precarietà e un sistema di appalti e subappalti insostenibile. Servono nuove norme e abrogare quelle che favoriscono comportamenti irregolari, serve assumere il personale necessario per garantire i controlli, serve tanta formazione.
Nelle scorse settimane avete descritto un mercato del lavoro in Italia dominato dalla precarietà. Eppure, i contratti a termine diminuiscono e aumentano quelli a tempo indeterminato. La vera emergenza sembrano essere più che altro le retribuzioni, mediamente troppo basse. Ma non c’è in questo anche una “colpa” del sindacato, un deficit di contrattazione?
La leggera diminuzione dei contratti a termine non ha invertito la tendenza che vede il nostro Paese, rispetto al resto d’Europa, tra quelli che utilizzano di più questi contratti. La condizione di precarietà, poi, non la si sperimenta solo se si ha un contratto a termine: la si vive anche nel sistema degli appalti e dei subappalti, o attraverso l’utilizzo del part time involontario, quando non hai le tutele necessarie contro i licenziamenti illegittimi. Le basse retribuzioni sono anche figlie di questa condizione di precarietà diffusa che si combina con l’alta presenza di contratti pirata. Noi nei prossimi mesi faremo la nostra parte sul versante negoziale, battendoci per ottenere reali aumenti salariali che vadano oltre l’Ipca (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato). E non è nostra intenzione fare sconti al mondo delle imprese e al Governo.
A partire dal tema della pace passando per la difesa della Costituzione avete costruito un’alleanza con il mondo associativo, laico e cattolico, da cui sono nate almeno due manifestazioni, quali saranno i prossimi passi? La mobilitazione contro il progetto di premierato e quello dell’autonomia differenziata?
Con il mondo delle associazioni abbiamo promosso una vasta rete che abbiamo chiamato “La Via maestra”. Il 25 maggio saremo a Napoli per una grande manifestazione a difesa della nostra democrazia antifascista e ci impegneremo insieme su proposte di legge di iniziativa popolare con lo scopo di dare attuazione ai principi costituzionali che quotidianamente vengono calpestati.
Ma alla fine qual è lo sbocco auspicato di tutta questa ampia e composita mobilitazione? Far cadere il governo? Fargli cambiare direzione e politiche? Ottenere singoli cambiamenti?
Il governo sta mettendo in campo politiche sbagliate e rifiuta confronto e trattativa. Inoltre, divide il Paese con l’autonomia differenziata e mortifica la partecipazione democratica con il premierato. Noi ci battiamo per cambiare radicalmente le politiche del governo e per affermare un nuovo e diverso modello sociale fondato sul diritto ad un lavoro stabile e non precario, sui diritti alla sanità e all’istruzione pubblica e per un reale aumento dei salari e delle pensioni. Per questo continueremo la nostra mobilitazione pronti ad inasprirla se non avremo risposte concrete. Dobbiamo essere tutti consapevoli che sono in gioco il futuro e l’assetto democratico del nostro Paese.