Lampedusa. Mustafà, 15 anni, e la partenza dall'hotspot. Tra gli sbarchi che riprendono
La fila di migranti fuori dall'hotspot viene identificata prima di partire
Aspetta in fila, pazientemente, tra tutti gli altri migranti più grandi di lui. Tra poco anche per Mustafà arriverà il momento di salire sul pullman e uscire da questo posto che chiamano hotspot. Dovrebbero essere ormai gli ultimi a lasciare l'isola, che prova a chiudere una fase difficilissima con decine di sbarchi ogni giorno, diminuiti ma non interrotti. La Croce Rossa ha messo in campo 150 operatori, camion frigo per i pasti, centinaia di brandine, ma la gestione è stata faticosissima per tutti. Lampedusa cerca di tornare a essere solo una località per turisti, che ancora la affollano a settembre inoltrato. «Immaginiamo che altri sbarchi ci saranno», diceva ieri sera un dirigente della Cri. E oggi fino al pomeriggio sono stati altri 5 gli arrivi, oltre 400 persone. Ad accoglierli, oltre a Cri e Unhcr, anche le ong come Save the Children e Mediterranean hope. E tre suore - una croata, un'idiana e una statunitense - inviate ormai da diversi anni come presidio fisso sull'isola dall'Unione delle Superiori Generali.
Prima dell'alba una scialuppa con 33 persone dalla Tunisia. Poi un barcone di 12 metri con 144 persone partito dalla Libia, e soccorso dalla Guardia costiera. Un altra imbarcazione con 39 tra sudanesi ed etiopi. Altri 15 su una barca dalle coste tunisine. Nel pomeriggio un quinto gruppo di 209 persone circa su più barche partite dalla Libia e raggiunte dalla Guardia di Finanza: molti eritrei, poi egiziani, iracheni, siriani, palestinesi, 24 donne, 31 minori. Oltre mille le persone ancora nell'hotspot, cui si sono aggiunti i nuovi arrivi. I trasferimenti sono in stallo a causa del sovraffollamento dei centri di transito, soprattutto Porto Empedocle, ma anche Catania. Momenti di tensione stamattina nella struttura di Lampedusa quando è scoppiata una rissa tra migranti per una fila non rispettata durante le identificazioni. Un ferito, medicato in infermeria.
Una famiglia esulta appena sbarcata al Molo Favaloro - Liverani
La gran parte dei migranti arrivati nei giorni scorsi comunque è stata trasferita. Il viaggio riprende. Anche per Mustafà, che ha 15 anni, viene dalla Costa d’Avorio con addosso la sua faccia da ragazzino sorridente e una apparente imperturbabilità. Nel centro di raccolta a Lampedusa ha passato giorni durissimi, dormendo per terra, lui dice «una settimana»: la permanenza massima di 36 ore effettivamente è spesso slittata a 72 o 96 ore, ammettono gli operatori. Aspetta di prendere una barca vera, il traghetto che lo porterà sulla Penisola. Quella con cui è arrivata, un vascone di metallo arrugginito saldato in fretta da qualche fabbro di Sfax, in Tunisia, da dove è partito, se fosse si ribaltata sarebbe colata a picco in pochi secondi.
Mustafà ha 15 anni ed è arrivato da solo dalla Costa d'Avorio - Liverani
«Ci abbiamo messo una giornata, eravamo in 40 sulla barca, è andata bene, la Guardia Costiera ci ha soccorso a poca distanza dall’isola», racconta Mustafà, minore non accompagnato come tanti altri qui. “Sì sono venuto da solo. Era l’unica cosa da fare, in Costa d’Avorio la vita è impossibile”. Tra poco mostrerà il cartellino che gli hanno dato e partirà. Per dove? “Non lo so, ci hanno detto di aspettare». Ovunque sia, ne è valsa la pena, pensa Mustafà. Sono gli stessi sentimenti di Godwin, 16 anni, qualche metro dietro al suo coetaneo. Viene dal Togo, è stanchissimo, non ce la fa nemmeno a stringere la mano a chi gli augura «Bonne chance».
La fila è di 50 persone alla volta, tanti quanti i posti del pullman – ora ce ne sono due più altri tre pulmini coi motori accesi - che parte dal cancello dell’hotspot di Contrada Imbriacola e arriva al desk della Croce Rossa. Quasi tutti giovani subsahariani. Qualche famiglia tunisina con bimbi. Coppie di siriani. Ragazze africane col bimbo al collo. C’è chi tiene in testa un asciugamano. Chi si copre il volto se passa un fotografo. Mamadou ha sulle spalle un telo da mare rosa con Minni. Hanno ciabatte di gomma, infradito scompagnati, calzini. O nulla.
Uno dei barchini artigianali che usano molti migranti per arrivare dalla Tunisia - Liverani
«Vous avez le etiquette blanch?», chiede a tutti il funzionario di polizia, la maglietta fradicia e il distintivo al collo. Amir fruga nella tasca del suo logoro giubetto di pelle e lo consegna. L’operatrice in divisa rossa legge col lettore ottico il codice a barre del tesserino che ogni migrante ha al collo. Avanti un altro. Due chilometri e mezzo di pullman e si scende a Cala Pisana. Qui c’è l’approdo, i migranti si risiedono a terra per l’ennesima volta per aspettare il traghetto. Eccolo che spunta sul mare.
Lì, a poche centinaia di metri di distanza, i turisti fanno il bagno e prendono il sole nella cala rocciosa, in acque limpidissime dove guizzano saraghi, castagnole e salpe. Sono le due Lampeduse, quella dei turisti e quella dei migranti, che si sfiorano per l’ultima volta. C’è chi tra qualche giorno torna a casa e ricomincia a lavorare. E chi la casa l’ha dovuta lasciare perché ovunque sarà meglio. O almeno così spera.