Attualità

In trincea. Lamezia, bomba carta contro prete antimafia

Andrea Gualtieri sabato 11 ottobre 2014
Don Giacomo è indignato: «Mi piacerebbe capire cosa passa nelle teste di chi ha fatto questo». Non riesce a spiegarsi perché sia stato fatto esplodere un ordigno davanti a una delle case che la comunità Progetto Sud di Lamezia Terme concede a famiglie povere, sfrattati, immigrati. Il boato ha svegliato il quartiere alle 2.30, nel cuore della notte tra giovedì e venerdì, ma i danni sono stati lievi e non ci sono stati feriti. La polizia, però, è convinta che si tratti di un messaggio intimidatorio. «Se lo hanno fatto per colpire noi – aggiunge don Panizza – stanno davvero esagerando».  Per lui le minacce non sono una novità: la sua azione pastorale che guida giovani e famiglie sulla strada della legalità è finita diverse volte nel mirino della ’ndrangheta. Altre bombe erano state fatte esplodere in passato davanti alla sua abitazione e alla sede della comunità che don Giacomo ha voluto collocare in un fabbricato confiscato al potente clan dei Torcasio. Stavolta, però, è diverso. «Quella casa non è un luogo simbolo – spiega il sacerdote – non apparteneva alla ’ndrangheta, non ci vive gente che ha conti in sospeso con la criminalità, è solo l’alloggio di persone povere». La comunità Progetto Sud usa quei locali nel rione popolare 'Bella' per dare una prima accoglienza a chi sta cercando una sistemazione più stabile. Si tratta di due appartamenti ristrutturati: cucina bagno e camera da letto nella più piccola, mentre l’altra ha una stanza aggiuntiva per accogliere famiglie più numerose. Chi arriva si ferma per poco. È don Giacomo, molto spesso, a recuperare per gli inquilini la caparra che serve per trovare una casa in affitto. Ma i due appartamenti del quartiere Bella tornano subito a riempirsi, perché i bisognosi sono sempre tanti.  «Qualunque messaggio – commenta il prete – ci sia dietro questa esplosione, arrivare a mettere una bomba lì vuol dire non aver rispetto della povera gente». Don Giacomo Panizza, che ieri è stato raggiunto dalla notizia nelle Marche, dove si era recato per partecipare ad un convegno. Anche la diocesi di Lamezia Terme ha espresso la propria condanna: «È un gesto che colpisce tutta la città – ha dichiarato il vescovo, Luigi Cantafora – perché è rivolto ai più bisognosi. In attesa che si faccia luce va comunque ribadita la solidarietà a chi si schiera dalla parte dei deboli». Gli inquirenti, intanto, hanno avviato le indagini e per il momento non si sbilanciano, ma l’ipotesi è che la bomba possa essere stata fatta esplodere davanti al più vulnerabile tra i presidi della comunità Progetto Sud. Nonostante don Giacomo Panizza abbia sempre rifiutato la scorta, la sua abitazione, la sede della comunità e i laboratori nei quali si portano avanti i progetti per la legalità e il recupero dei tossicodipendenti sono sottoposti al controllo delle telecamere di sorveglianza e alla vigilanza frequente di pattuglie delle forze dell’ordine. Quella casa del rione 'Bella', invece, era un avamposto facile da colpire. Bresciano, fondatore di Progetto Sud, dal 2002 minacciatoMinacce di morte, le gomme tagliate, le esplosioni, i colpi d’arma da fuoco contro i portoni. Don Giacomo Panizza non nasconde di aver paura della ’ndrangheta. Ma, dice, «fa più paura sottomettersi alla logica della violenza». A Lamezia Terme lui è arrivato negli anni Settanta. Proviene da Brescia, un passato da operaio in acciaieria, e si definisce un emigrante al contrario. Nel 1976 ha fondato la comunità Progetto Sud che, partendo dalle persone disabili e innestandosi nei progetti della Caritas, ha portato avanti un modello di accoglienza e un impegno di rilancio sociale che ha dato fastidio alla criminalità locale. Don Giacomo è nel mirino delle cosche dal 2002, quando ha preso in gestione il palazzo confiscato ai Torcasio. Lo stabile dista pochi metri dalla casa in cui abitano i mafiosi.