Combattenti jihadisti infiltrati fra i migranti? Sul rischio, evocato da tempo, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha più volte invitato a non generare allarmismi: «Nessuno può escluderlo, ma fino a questo momento non ci sono tracce, anche se la vigilanza è altissima e la nostra intelligence e le Procure lavorano al massimo su questo fronte». Ma ieri, proprio mentre il titolare del Viminale si trovava a Washington per partecipare a un summit internazionale sul radicalismo violento, a rilanciare l’allarme è stato il quotidiano britannico
Daily telegraph, secondo cui l’Is progetterebbe di portare «il caos nel sud dell’Europa ». Il giornale cita alcuni documenti (ottenuti dal think tank britannico
Quiliam) in cui un certo Abu Arhim al-Libim (presunta figura di spicco dello Stato islamico) fa riferimento all’opportunità di «utilizzare i tanti barconi di immigrati che partono dalle coste libiche », per «colpire le compagnie marittime e le navi dei crociati». Sempre da Londra, l’ambasciatore egiziano Nasser Kamel dice di temere che «barconi pieni di terroristi» approdino sulle nostre coste, ricordando che «Sirte è a soli 300 chilometri dall’Italia». Valutazioni sulle quali però l’intelligence si mostra cauta: «Non abbiamo evidenza di un nesso diretto tra sbarchi e terrorismo internazionale» osserva Giampiero Massolo, direttore del Dis (il Dipartimento informazioni per la sicurezza, cabina di regia dell’Aisi e dell’Aise). Pragmaticamente, gli analisti ritengono poco probabile che i terroristi scelgano di affrontare il Mediterraneo su «barconi fatiscenti col rischio di affondare» e, una volta approdati, «dover affrontare i controlli delle autorità». In ogni caso, non si esclude che fra i migranti (su 175mila soccorsi in 14 mesi, 142mila provenivano dalla Libia) possano mimetizzarsi anche «soggetti più radicalizzabili di altri». Ma resta un fatto (e lo stesso premier Matteo Renzi l’ha rimarcato nei giorni scorsi): gli ultimi attentati integralisti in Europa, da Parigi a Copenaghen, sono stati compiuti da cittadini con passaporto europeo. Della questione si è discusso in un convegno presso il Centro alti studi della Difesa, organizzato dalla Fondazione Icsa. Per il sottosegretario con delega ai servizi, Marco Minniti, l’Is «non controlla la Libia, è la sua regia della comunicazione a trasmettere un senso di onnipotenza». Sul suolo italiano invece, osserva Minniti, bisogna dire «no alla sindrome della paura», anche se «abbiamo di fronte un terrorismo molecolare, che tiene insieme lupi solitari e combattenti stranieri. Chi agisce non è attivato da un comando: siamo di fronte al massimo dell’imprevedibilità». Sul piano normativo, c’è chi chiede lo sblocco della direttiva europea sul cosiddetto «Passenger name record», che consentirebbe la raccolta dei dati (limitata nel tempo) per 'tracciare' i sospetti
foreign fighters. Tuttavia, il procuratore di Torino Armando Spataro fa notare come «la raccolta indiscriminata di milioni di dati senza selezione a monte non serve a nulla», meglio uno scambio tempestivo di informazioni investigative: «Sono state arrestate due persone che stavano entrando in Italia dal Frejus, ma dalla Francia non abbiamo avuto informazioni sulla loro identità». Diversi esperti valutano con favore il decreto legge da poco varato dal Consiglio dei ministri, ma pongono l’accento anche sulle segnalazioni «sulla radicalizzazione di tanti giovani». I ragazzi, avverte il dirigente dell’Antiterrorismo della Polizia Lamberto Giannini, «sono attratti dal messaggio dell’Is e bisogna combattere questo fenomeno, istituendo un tavolo interministeriale, coinvolgendo scuola, servizi sanitari, informazione, social network e comunità islamiche».