Questa è la storia di uno di noi, anche lui nato per caso in via Gluck... Mentre cresce il muggito delle 'Limousine' e il piccolo Edoardo corre-cade-e-corre sull’aia, ti vien da pensare che la cascina Battivacco sia quanto di più simile alla via Gluck degli anni Cinquanta, l’estrema frontiera di una Milano assediata dalla speculazione edilizia, come quella che cantò il molleggiato. Oltre questo muro di cinta, solo
case su case, catrame e cemento: la Barona è la vera periferia milanese; in mezzo al quartiere dormitorio sorge il Barrio’s, il centro sociale dove don Gino Rigoldi, il cappellano del Beccaria, lotta contro l’emarginazione giovanile.
Là dove c’era l’erba ora c’è una città... La differenza è che la
casa in mezzo al verde alla Barona è rimasta dov’era. La incontri dopo l’ultimo palazzone grigio: a destra come a sinistra, campi di riso e mais. In fondo, a qualche centinaio di metri dalla metropoli ma ancora in territorio comunale, la casa dei Fedeli. Sorge nello stesso posto da settecento anni, dove l’hanno eretta i cistercensi, quando queste erano delle malsane paludi da bonificare. «Noi abbiamo scelto di fare gli agricoltori e abbiamo dovuto difendere palmo a palmo questa terra, che è un bene comune: la coltiviamo, la facciamo scoprire ai turisti, tutti i milanesi possono passeggiarvi e fruirne liberamente, ovviamente con il rispetto che si deve a un campo coltivato»: Cesare Fedeli rappresenta la nuova generazione di una famiglia lombarda che coltiva cereali da secoli. Due aziende: 150 ettari a Milano, quasi altrettanti in Lomellina. Riso, mais, soia e vacche da carne; bottega per la vendita diretta e fattoria didattica... Quando la famiglia è arrivata alla Barona, nel ’66, Celentano cantava il ragazzo della via Gluck e qui intorno c’era solo la
scighera, il nebbione della Bassa. «L’agricoltura di mio padre e di mio nonno era un’altra cosa - ammette Cesare -, avevamo meno leggi ma anche meno qualità: oggi usiamo un decimo dei diserbanti di allora e spesso ci lamentiamo perché le norme impongono pratiche e investimenti che nulla hanno a che fare con la tecnica agraria, ma chi ha sale in zucca le applica comunque, perché solo così si raggiungono quegli standard sempre più alti che il mercato ti chiede». Venticinque anni, tra un raccolto e l’altro Cesare si è preso una laurea alla Bocconi, è entrato nel consorzio del Distretto Agricolo Milanese che rifornisce, tra l’altro, l’Esselunga e le mense comunali, ed è già un dirigente della Coldiretti milanese. Parla dell’azienda agricola come di un’impresa commerciale - «il gettito fiscale è ormai analogo, a parità di fatturato, anche se il sistema è semplificato» - e ti spiega che l’onestà conviene, sia perché la reputazione nel mondo agricolo ha ancora il suo peso e si ripercuote nei rapporti di locazione (i Fedeli sono da sempre affittuari dell’Ospedale Maggiore, il maggiore proprietario terriero della provincia, e del Comune di Milano), sia perché «le nostre imposte sono parametrate sull’ettarato, ma anche gli aiuti comunitari seguono lo stesso criterio, quindi è nel nostro interesse che i dati catastali siano aggiornati». Anche il mondo rurale, ammette, è stato contagiato dai virus segnalati dalla Guardia di Finanza nel suo rapporto di ieri, «ma ricordiamoci che le mafie sono interessate alle proprietà fondiarie, non a coltivarle - osserva l’agricoltore - e forse lo Stato dovrebbe aiutare di più e meglio chi resiste sul territorio, lo presidia e contrasta con la propria vita la cementificazione e la speculazione ». Un riferimento tutt’altro che casuale, visto che negli anni Ottanta i Fedeli hanno dovuto ingaggiare una lunga battaglia giudiziaria per scongiurare un esproprio illegale. «I terreni agricoli erano considerati un vuoto da riempire, ora è diverso» commenta, indicando i palazzi in fondo alla via: «oggi la città finisce là. Qui domani si inizia ad arare».