L'inchiesta. La via lombarda al Jihad e le investigazioni del Ros
L'attività del Ros di Milano si divide equamente tra il contrasto ai gruppi mafiosi e quello ai presunti terroristi
La loro immagine è associata al mefisto, il passamontagna che per noi è sinonimo di corpi speciali, blitz, incursioni, operazioni ad alto tasso di rischio e spettacolarità, ma per loro che lo indossano solamente alla fine dei giochi significa esattamente il contrario: quello che si vede non sempre è come sembra. E ciò che non si vede invece, una volta scoperto, cambia le cose. Sono i carabinieri del Ros, Raggruppamento operativo speciale: uomini dal basso profilo la cui attività è in realtà d’intelligence più che d’incursione, e organo investigativo dell’Arma con competenza in particolare su criminalità organizzata e terrorismo. Rispetto agli altri reparti, al Ros si accede su chiamata. Il personale è selezionato dal comando stesso del Ros nell’ambito di tutti i reparti dell’Arma dei carabinieri (e dovrà poi a frequentare un iniziale corso specializzato all’istituto superiore di tecniche investigative dell’Arma – I.S.T.I. – e poi numerosi corsi di alta specializzazione). Attualmente è articolato a livello centrale in più reparti: antiterrorismo, crimini violenti, indagini tecniche, indagini telematiche, due reparti centrali investigativi (competenti su criminalità organizzata, narcotraffico e tratta di esseri umani) e un reparto analisi investigativa. A livello periferico è strutturato in 6 reparti anticrimine (tra cui Milano), 3 nuclei e 21 sezioni anticrimine, presenti quindi presso ogni sede di Corte d’Appello (in Lombardia, Milano e Brescia), coordinati cioè dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo. Il Raggruppamento ha origine negli anni ’70 con il Nucleo speciale antiterrorismo del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma è nel dicembre 1990 che viene costituito il Ros, quando, finita l’emergenza Br, c’era la necessità di rimodulare l’attività mantenendo l’esperienza maturata nel metodo anticrimine. Stretto contatto e sinergia con i colleghi delle polizie ed agenzie investigative straniere, studio e aggiornamento delle tecnologie investigative, confronto e collaborazione con università e istituti di ricerca (la Cattolica e l’Ispi di politica internazionale per Milano, ad esempio) e soprattutto capacità di adattarsi ai tempi fanno parte del dna del Ros che, con il giro di boa del nuovo secolo, si è trovato in prima linea contro il terrorismo internazionale. Un settore di indagine cresciuto progressivamente, fino a rappresentare circa la metà del lavoro di indagine del Raggruppamento di Milano, comandato dal colonnello Paolo Storoni. Attività che viene effettuata raccordando nel modo migliore le molteplici informazioni che provengono dal territorio, in particolare con il contributo fondamentale dell’Arma territoriale. Le indagini oggi sono ripartite equamente tra contrasto alla criminalità organizzata, da un lato e contrasto all’anarcoinsurrezionalismo e al terrorismo islamico. Per motivi di spazio e di unità si rende conto solo di quest’ultimo aspetto, rimandando ad un seguito il lavoro sulla criminalità organizzata.
I vogatori sono fermi con i remi in piano (le pale girate di piatto sull’acqua) a contrastare il rollio dolce dell’oceano. Ovunque è il mare intorno: là...là...e anche là. Ognuno è in ascolto, ognuno guarda in direzione diversa, e la domanda di tutti è: dove emergerà la balena bianca?
LE TRE ETÀ DEL TERRORISMO. PIU’ UNA
C’era una volta (e c’è ancora) al-Quaeda, o, con il senno di poi, il terrorismo 1.0: un’organizzazione esclusivamente militare a struttura puntiforme, secondo gli analisti militarmente molto più forte dell’attuale Daesh, ma con un tallone d’Achille: le cellule collegate tra loro. Individuata una, si poteva risalire così alle altre. Dal 2008 al 2013, la prima mutazione, il terrorismo 2.0 evolutosi in compartimenti stagni; per farlo si è spostato su internet, il fronte virtuale del jihad. Tuttavia si trattava sempre di obiettivi riconoscibili: barbe lunghe, abiti tradizionali e fanatismo ostentato. Così riconoscibili che talvolta agli investigatori era sufficiente notare il callo frontale (o callo della preghiera) per avere la consapevolezza di essere sulla pista giusta. Di questo terrorismo, morto intorno al 2013, è rimasto ormai soltanto un cliché, ancora oggi molto diffuso, sul quale si cerca di adattare proposte anacronistiche come: mettere le telecamere di sorveglianza nelle moschee per controllare la preghiera del venerdì. Tanto varrebbe metterle anche nelle palestre o nei sushi bar per monitorare l’happy hour del giovedì, visto che negli ultimi quattro anni terroristi, aspiranti o presunti tali sono mutati ancora adottando i costumi occidentali come solo le nuove generazioni possono fare: «...anche se noi viviamo in mezzo a loro e giochiamo il nostro gioco come se fossimo come loro, però giuro che non siamo come loro. Anche se ci incontriamo con loro, li salutiamo e gli ridiamo, invece giuro, non gli ridiamo dal cuore, non li salutiamo dal cuore. Giuro se potessimo trovare il modo , giuro abbatteremo tutto questo paese...» questa è la voce di Abderrahim Moutaharrik, 29 anni, conosciuto come il pugile, o meglio il kickboxer che saliva sul ring con la bandiera nera del Daesh, mentre dà una lezione sul concetto di taqiyya (dissimulazione, inganno e rinnegamento apparente del proprio credo, giustificato da una causa superiore). «Non devi parlare con il primo che ti capita. Ci sono tanti musulmani traditori che ti girano intorno». E questo invece è Mohamed Koraichi, invalido (per il nostro Stato) ma foreign fighter per il Daesh, che dalla Siria dà direttive e consigli: «Queste operazioni che fanno i lupi solitari sono meglio di 20mila attacchi», dice ancora. Secondo una statistica diffusa dalla Corte d’Appello e presentata in Bocconi lo scorso anno il reato di attività terroristica sarebbe in crescita del 500%. E il numero di segnalazioni di persone sospette o potenzialmente pericolose è aumentato in modo vertiginoso. Si è posto così il problema di incanalare e passare al vaglio il più rapidamente possibile il flusso di informazioni dalle strutture territoriali (stazioni e comandi dei carabinieri) a quelle investigative (Ros). Nel frattempo il fronte virtuale si è allungato a dismisura ed è divenuto un format (e per certi aspetti persino un fai da te), dove tutto gira su internet, dal manuale del perfetto mujaheddin ("how to survive in west") al semaforo verde a un potenziale attentato inviato su una chat, agli indottrinamenti da scaricare come serie tv da siti come "Isdarat". Tutto si trova su internet, eppure ogni cosa rimane disconnessa. È il cosiddetto terrorismo 3.0, con la variante 3.1 dei lupi solitari, secondo che l’obiettivo sia andare (o spesso tornare) in Siria per combattere o restare qui invece a fare un attentato. Il vecchio sistema di indagare su una cellula non produce più un’indagine, si moltiplica in tre... cinque inchieste alla volta, e per ognuna si riparte da capo senza elementi che possano essere mai dati per acquisiti. Uno più uno, più uno ancora... alla fine rimane sempre uno. Oppure zero, in perfetta alternanza binaria, gli investigatori calcolano in una su quattordici (1-1-1-0), quindici (1-1-1-1) le indagini sul terrorismo che hanno riscontri, che non si esauriscono cioè solo in deliri, proclami e farneticazioni. Ma si indaga anche per provare che non c’è niente su cui indagare. Fatto che per inciso crea alle nostre agenzie superlavoro e problemi di organico. Chi infatti si prende la responsabilità di lasciar cadere un caso con un’ombra di dubbio di questi tempi?
L’INTEGRAZIONE RIFIUTATA
«Dio ci ha svegliati e ci ha messo in questi tempi, tempi di divertimento a uccidere» come li ha definiti Moutaharrik. Tempi in cui l’indagine cessa di essere il romanzo tradizionale dove ogni passaggio è concatenato con un inizio un centro e una storia d’insieme che emerge alla fine... è più vicina semmai a un romanzo contemporaneo, dove le parole contano quanto i puntini di sospensione, la struttura è frammentata, e non c’è una storia da raccontare.«Ci sono tante, tante storie amico mio, io una volta mi sono alzato e mi sono messo a progettare...ho detto che voglio picchiare (inteso come colpire e far esplodere) Israele a Roma... e sono andato da un ragazzo albanese e gli ho detto di procurarmi una pistola...» è sempre la voce Moutaharrik a parlare. Operaio di Lecco, sposato, un bambino piccolo, atleta di livello internazionale, condannato a sei anni per terrorismo dal Gup di Milano. La sua avrebbe dovuto essere la più classica delle storie, quella del ragazzo tolto dalla strada e trasformato in campione.Ed è lui stesso a raccontarla in un’altra intercettazione. «Una volta avevo un gruppo di amici stranieri e ci incontravamo in stazione, c’erano albanesi, marocchini e ci trovavamo per bere e fare cavolate facevo una brutta vita. Ma adesso mi sono svegliato».Il suo allenatore ha provato a usare la leva del riscatto sociale (che è una delle facce dell’integrazione, anzi il suo volto più giovane e sfrontato): «Se vuoi fare qualcosa falla nel... dimostra...(Cioè dimostra quello che vali sul ring o nello sport)». Ma lui gli ha già voltato le spalle: «Guarda, devo andare. È un ordine. Questa non è una scelta, è un ordine». In lui non era l’ambizione di essere un campione, in lui è la smania di essere un kawaser, un predatore. «Non ho trovato per loro l’arma che basta un solo colpo» dice in un’altra intercettazione. Alla fine non partirà, riceverà il "poema bomba" dalla Siria via whatsapp, un contrordine a restare e insieme il semaforo verde per un attentato, che segna per il nostro paese la fine del mito dell’intoccabilità, o quantomeno del motto "tanto non ci riguarda".
LA VIA LOMBARDA AL JIHAD
Lecco (coniugi Moutaharrik, lui operaio)…Bulciago (Mohammed Koraichi, invalido civile, coniugato con Alice Brignoli, entrambi spariti in Siria)…Barzago (Valbona Berisha, anche lei scappata in Siria con un foreign fighter dopo aver troncato col marito)… Baveno (Wafa Koraichi, sorella di Mohammed)… Brunello (Abderrahmane Khachia, fratello di Oussama, "martire" morto in Siria), Vaprio D’Adda (Aftab Farooq, magazziniere, espulso dall’Italia dopo essere stato intercettato mentre spiegava alla moglie come fosse facile entrare nell’aeroporto di Orio e piazzarvi una bomba)… E ancora: Inzago (Fatima Sergio, l’inchiesta guida della Digos sul terrorismo nostrano)…Cassano D’Adda (Antar Hossalmedin, operaio cassaintegrato), Tradate e Seriate (Tarek e Redouane Sakher, anche lui espulso): le inchieste del Ros e della Digos coordinate dal pool antiterrorismo della procura di Milano (e di Genova, nel caso degli arrestati a Cassano D’Adda e a Tradate) rappresentano a loro modo uno spaccato dell’Italia dei quasi ottomila comuni e della Lombardia con le sue 811mila imprese. Si tratta quasi sempre di persone formalmente integrate, provenienti perlopiù dal Maghreb e con famiglie dove almeno l’uomo ha un lavoro. Una geografia parcellizzata, con un triangolo rovesciato, dove si concentrano buona parte degli indagati, i cui vertici sono Lecco, Varese e, in basso, a metà strada tra Bergamo e Milano, Cassano D’Adda. L’altro bacino di reclutamento del Nord è nel Bellunese, altra provincia che si segnala per un’alta occupazione (oltreché per una qualità della vita tra le più alte d’Italia), dove invece i radicalizzati sono perlopiù slavi: la via dell’Est al Jihad.
COME LA MAFIA
Sì, ci sono tante storie. C’è quella di Valbona Berisha scappata da Barzago (Lecco) con un volo Orio al Serio-Istanbul senza ritorno, e poi in Siria portandosi dietro il figlio piccolo sotto le bombe. Quando i carabinieri del Ros controllano il suo computer trovano un link a un filmato su Youtube: si vede una fila di uomini in mimetica con l’indice alzato al cielo, in segno di devota predestinazione, e ognuno di loro ha al suo fianco come un’ombra sorta dalla terra una donna in abito tradizionale. Esistono poi altri filmati in cui il Daesh non si presenta come un campo di battaglia ma invece come una sorta di resort cinque stelle. Dietro la propaganda naturalmente c’è un’organizzazione che al terrore ostentato affianca i mezzi di sussistenza tipici della criminalità organizzata: sequestri di persona, traffico di droga (giustificato come un virus da inoculare nell’occidente secolarizzato), contrabbando di opere d’arte che vengono pubblicamente distrutte e rivendute privatamente, e il petrolio naturalmente. Ma aldilà della propaganda c’è anche un’organizzazione che fornisce sostegno economico (sempre come le mafie del resto) e con un’attrattiva sui radicalizzati superiore ad al-Quaeda, che agiva invece in modo molto tradizionale: uomini al fronte, donne a casa.
LA VOCE DELLE DONNE...
«Lei dice che è suo diritto sposarsi».«Ma è stato lui a volerlo?».«No, è stata lei. Lui ha detto che non sapeva nulla finché non gli è stata presentata». Salma Bencharki (moglie di Moutaharrik) e Wafa Koraichi parlano del fratello di quest’ultima, Mohamad Korahichi, foreign fighter in Siria in coppia con la moglie Alice Brignoli e racconta di come questi abbia sposato come seconda moglie e preso in carico la giovane vedova di un martire con il suo figlio piccolo (uno dei quattro bambini in tuta mimetica le cui foto l’anno scorso hanno fatto il giro d’Europa).Dal settembre 2014 al settembre 2015 l’International Center for Counter Terrorism dell’Aia stima in circa 30 mila il numero di foreign fighter, provenienti da 104 paesi. In Europa ne vengono reclutati circa quattromila (2850 solo in Francia). L’Italia, secondo l’Icct, ha fornito al Daesh 120 foreign fighters. Cifra che comprende anche chi passa di qui: i "terroristi transitanti", come Anis Amri, ad esempio, morto in un conflitto a fuoco con la polizia a Sesto San Giovanni. Di tutte queste persone, il 30 per cento fa rientro nel paese d’origine, il 17% sono donne, tra il 6 e il 23% soltanto aderisce al Daesh per motivi religiosi, mentre l’85% dei foreign fighters è spinta da motivi economici. Un’analisi sorprendente, su cui probabilmente Wafa Koraichi avrebbe qualcosa da ridire: «...quante bugie dicono... se ci fosse un problema economico... non lascerebbe i suoi soldi e la sua pensione... e la casa gratuita arredata... ha anche la lavastoviglie... tutto tutto... gli hanno dato una villa arredata come si deve». Perché non crederle?«Aveva una pensione al mese perché aveva dei problemi di salute...Lo hanno pagato come un’invalidità, capito? Mille euro netti... senza affitto senza nulla...Ringrazio Dio...lui ha rinunciato a tutto... ha lasciato qui i loro soldi». Ringrazieranno anche i servizi sociali per la rinuncia nonché per gli apprezzamenti da fonte al di sopra di ogni sospetto. Ironia a parte, in questo sfogo c’è una costante. In un’altra inchiesta del Ros di Padova su Ismar Mesinovic e la cellula bellunese infatti uno degli aspiranti foreign fighters all’ultimo momento annullò la partenza perché non era riuscito a restituire un prestito di denaro, come se non fosse pronto cioè a lasciare questo mondo finché non avesse saldato tutti i conti dietro di sè: è un imperativo da rispettare.
...E LE GRIDA DEI FAMIGLIARI
«Mi ha detto che la mamma si è vestita e sembra un ninja…glielo faccio vedere io il ninja appena la becco».«È salito urlandomi in faccia e dicendo perché l’ho fatto...perché hai fatto queste cose a mio nome...mi metterete nei guai!».«Mi ha detto: vengono a prenderti!».«Togliete le schede telefoniche o vi spacco le mani e le teste e poi andrò in prigione tutta la vita!».«Non gli parlo più, così impara a chiamarci i Daesh!».«Anche tu sei maledetta, anche tu!» «È meglio vivere in tranquillità, o no?». Sono alcune delle intercettazioni tra i sospetti terroristi e i loro parenti. Ci sono tante storie, è vero, ma tutte prevedono due finali soltanto: l’arresto o il volo di sola andata. Se pochi sono quelli disposti a salire su quel volo, quei pochi non possono salirci senza coinvolgere anche chi non ha nessuna voglia di seguirli. Le tensioni famigliari sono, al pari delle attestazioni di radicalizzazione, il filo che segue chi conduce le inchieste....Ovunque è il mare intorno: là...là...e anche là. Ognuno è in ascolto, ognuno guarda in direzione diversa, e la domanda di tutti è sempre: dove emergerà la balena bianca?Bisogna guardare dove volano i gabbiani, gli uccelli che hanno il suo stesso colore.