Napoli. La verità su Genny, a 17 anni vittima innocente di camorra
Uno dei presunti killer del clan Lo Russo
L’inchiesta della Dda di Napoli sulla morte di Genny Cesarano, il 17enne ucciso in piazza Sanità il 6 settembre del 2015, ha ripristinato la verità e ridato al ragazzo l’innocenza. Non era l’obiettivo dei killer, ma fu vittima incolpevole di una 'stesa', colpevole solo . Ieri sono state eseguite quattro ordinanze di custodia cautelare a carico dei presunti sicari, affiliati al clan Lo Russo, egemone a Miano, periferia nord di Napoli. Decisive le dichiarazioni del boss pentito Carlo Lo Russo. Fu infatti questi ad ordinare la 'stesa', la spedizione alla Sanità per vendicare l’affronto subìto dal rivale Pietro Esposito, boss della Sanità. All’epoca il clan capeggiato da Carlo Lo Russo era impegnato in una guerra contro la cosca di Pietro Esposito.
Il commando, otto persone su quattro scooter, si inoltrò nel Rione Sanità per dare una risposta a Pierino Esposito, cercandolo anche nei vicoli. Il gruppo fece fuoco 24 volte utilizzando almeno tre pistole di diverso calibro. Le moto di grossa cilindrata erano partite da Miano, il quartiere roccaforte dei Lo Russo, conosciuti anche come 'capitoni', gruppo che si stava riorganizzando ed estendendo. Esposito aveva infatti organizzato pochi giorni prima una 'stesa' a Miano, perché, uscito dal carcere a luglio 2015, aveva deciso di far sentire la propria voce ai rivali.
Durante il raid un colpo raggiunse il 17enne che cercava di nascondersi dietro un’auto, fino a poco prima intento a chiacchierare con gli amici in piazza. Del gruppo di fuoco faceva parte anche un giovane poi ucciso nel corso di un altro agguato, Vincenzo Di Napoli. Le dichiarazioni del capoclan Carlo Lo Russo hanno trovato numerosi riscontri anche nelle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Rosario De Stefano, in carcere per l’omicidio di Pietro Esposito. Le misure cautelari sono state notificate dalla squadra Mobile a quattro persone già detenute: Antonio Buono, Ciro Perfetto, Mariano Torre e Luigi Cutarelli. Ai quattro indagati la Procura, oltre all’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dall’agevolazione camorristica, è contestato il tentativo di omicidio nei confronti di altre quattro persone presenti la sera della sparatoria in piazza San Vincenzo alla Sanità.
«Oggi vince la verità»: Antonio Cesarano, padre di Genny, commenta così l’arresto dei quattro ritenuti responsabili della morte del ragazzo. « Io e la mia famiglia chiediamo giustizia per lui – afferma nello studio del suo legale, Marco Campora – ma quello che più conta è che nelle carte dell’inchiesta oggi ci sia chiaramente scritto che mio figlio non aveva nulla a che vedere con la camorra e che è una vittima innocente». Antonio ricorda, con rabbia e tra le lacrime, i giorni successivi all’uccisione quando «notizie diffuse da inquirenti ed organi di informazione» descrivevano il figlio come un affiliato ai clan e, per questo, probabile bersaglio di quel raid notturno. «Era un bravo ragazzo, ma ho dovuto gridarlo per giorni prima che dessero ascolto a me ed alle migliaia di persone scese in piazza per il funerale concesso, come si fa per un boss di camorra, alle 7 di mattina.
Ora spero che lui riposi in pace. La nostra l’abbiamo persa quella notte». Il giorno dei funerali i parroci della Sanità e di altri quartieri lessero una lettera in cui chiedevano più lavoro, più scuola, più sicurezza: nacque così il movimento del 'Popolo in cammino' per cambiare il volto oscuro di Napoli. La gente del quartiere e le istituzioni locali, in varie occasioni, con cortei e manifestazioni, sono stati vicini alla famiglia Cesarano. Oggi e domenica nel nome di Genny è stato organizzato un torneo di calcio. Ma niente di più, osserva il questore di Napoli, Guido Marino: «Nessuno ci ha aiutato. Nessuno ha detto nulla». E il procuratore capo, Giovanni Colangelo rincara la dose: «Non chiedo alla gente di compiere atti di eroismo, ma di ordinaria legalità». Colangelo lancia poi un appello alle mamme del quartiere: «Fate capire ai vostri figli che questa strada porta alla morte o porta al carcere. Bisogna ribellarsi a questi fatti».