«Ciampi c’era. C’era sempre quando le cose si mettevano male. C’era nei momenti cruciali, nei passaggi insidiosi della storia della nostra Italia e della nostra Europa. C’era con la sua straordinaria competenza tecnica esaltata da un indiscutibile patrimonio di fiducia...». Per un secondo Romano Prodi resta in silenzio. Come se pescasse nella memoria. Come se provasse a mettere in fila episodi. «Lo scriva: patrimonio di fiducia... E così, alla fine, quello che diceva Ciampi non veniva mai messo in discussione». È un ricordo appassionato. Prodi racconta Ciampi. Il suo essere schivo e amato. La sua spiritualità protetta con pudore. Le sue convinzioni e la sua capacità di fare squadra. «L’Italia perde un uomo grande che l’aiutava nei momenti più drammatici. L’Italia perde quella che era l’ultima risorsa», ripete sottovoce l’ex premier.
Lei lo volle nel suo governo... Ciampi era stato presidente del Consiglio... Gli chiesi la collaborazione quasi con timidezza. Lui non solo accettò, ma fu sempre straordinariamente aperto, leale, appassionato. Ricordo il suo lavoro. La sua dedizione impressionante, il suo impegno, la sua partecipazione. Non era un uomo politico in cerca di un incarico, era un uomo che amava l’Italia e che capiva che in quel momento doveva fare un passo avanti. Ecco l’altro tratto indelebile di Ciampi: l’amore per l’Italia. Un amore intenso. Quasi d’altri tempi. Amore per l’Italia, per il Tricolore. Che legava sempre all’amore per l’Europa. Capiva e spiegava che l’Unione era una spalla su cui poggiarsi, un punto di riferimento capace di mettere il nostro Paese in sicurezza.
Professore, com’era davvero Ciampi? Era un uomo aperto, anche affabile, ma le sue idee erano forti. Come i suoi pensieri. Come la sua visione. Era un uomo in grado di unire capacità tecnica, dedizione morale e capacità di lavorare con gli altri. Una leadership fortissima e modesta nello stesso tempo. Cosa ci resta? Il Paese è molto distratto, troppo spesso fatica a riflettere sul passato.
Quando vi siete visti l’ultima volta? Eravamo al mare, nella 'sua' Santa Severa, a due passi da Roma. Sapevo che le sue condizioni di salute erano peggiorate e volevo ve- derlo. Parlare con lui guardandolo negli occhi. Ricordo un senso di nostalgia e di rimpianto per un’Italia che avrebbe voluto più forte sul piano internazionale. Lui guardava da fuori e spesso guardava con sofferenza.
E della sua vita che diceva? Non ne voglio parlare. Ciampi era un uomo di una profondità spirituale grande che, però, custodiva quasi con gelosia. Vedevo un percorso, che Ciampi voleva restasse suo. Una scelta non di chiusura, ma di grande pudore. Il pudore che si lega con il rispetto degli altri e di se stesso.
Per anni avete lavorato insieme. Ricorda attriti? Ricordo incomprensioni, valutazioni divergenti. Ricordo la stagione per entrare nell’euro. Che grandiosa complicazione. Si discuteva, eccome se si discuteva. Ma alla fine si trovava un punto di incontro. Non c’è mai stata una conclusione divisiva; ci sono stati tanti momenti di dibattito, ma sempre un epilogo da cui emergeva una visione comune. Non è retorica, è la sintesi di un pezzo della nostra storia politica.
Ciampi amava la Germania. Forse capiva anche il rigore di Berlino... Conosceva la Germania e l’amava anche. Aveva studiato lì, i tedeschi lo apprezzavano e lo rispettavano. Ciampi era italiano ed europeo. Ha sempre difeso le posizioni italiane, ma ha sempre capito che l’Italia era ed è credibile solo quanto rispetta rigorosamente gli impegni presi. Ciampi non avrebbe mai, mai, mai detto «facciamo per conto nostro e gli altri si arrangino». Penso ancora alla nascita dell’euro. Ai lunghi dibattiti, alle grandi difficoltà. Penso alla necessità di ridurre il deficit. Beh, lui partiva subito mettendo in atto le misure. E questa velocità di azione ci rendeva credibili.
In queste ore l’Unione a Bratislava cerca con fatica un rilancio... L’Europa di Ciampi era un’Europa forte. C’era una prospettiva. Si declinavano parole come unità. Oggi l’Europa arretra, non ha forza, è piegata. E Brexit è solo un momento di questo arretramento. Non è l’unico. Ricordo la tenacia di Kohl. La sua determinazione. Le sue parole. «Oggi abbiamo messo al sicuro la Ue con l’euro; ora bisogna costruire attorno all’euro una politica economica europea ». Non ce l’abbiamo fatta. Si va indietro. E la colpa è in gran parte dei nuovi leader. Troppo attenti ad inseguire un elettorato che crede che la solidarietà non sia più possibile.