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Intervista. Prodi: «La tregua in Ucraina ci sarà, ma la difesa Ue serve»

Arturo Celletti martedì 18 marzo 2025
Romano Prodi

Romano Prodi

Un’ora a ragionare di Ucraina. Di tregua. Di pace. Di difesa. Un’ora per raccontare una Europa pigra, smarrita e non consapevole dei rischi che prendono forma guardando l’orizzonte. Rischi? Romano Prodi annuisce: «Ci vogliono, noi europei, inesistenti e divisi. E questo perchè potenzialmente siamo forti. Noi siamo il 17 per cento del prodotto interno mondiale. Come la Cina. E invece...». Un istante di silenzio, poi il primo appello dell’ex presidente della Commissione Europea e del due volte presidente del Consiglio: «Ritrovarsi e riorganizzarsi è una questione vitale». Dietro quel “ci vogliono” ci sono le mani che si stringono del presidente russo e di quello americano. C’è la trattativa a due Usa-Russia. E c’è la telefonata di oggi fra la Casa Bianca e il Cremlino dietro la quale si agita un solo vero interrogativo.

Prodi, ci sarà davvero la tregua?

Ci sarà. È inevitabile. Trump e Putin si sono spinti troppo avanti. Hanno tagliato fuori dal confronto l’Europa che rompe le scatole e ora, escludendo gli altri, hanno obbligato se stessi a portare a casa il risultato. Non possono fallire, non possono tornare alla casella di partenza».

Quale scenario immagina?

Ci saranno trattative complesse. Probabilmente resteranno aperte a lungo. Penso a una tregua perenne che chiude i combattimenti ma rischia di lascia irrisolte tutte le tensioni. Magari come quella in Corea, dove la provvisorietà dura da 70 anni.

La pace è un’altra cosa?

Sì, esatto, la pace è un’altra cosa. È più complicata perché si tratta di definire aspetti complessi. A cominciare dai problemi territoriali. Certo di solito una tregua finisce con il rendere definitivi accordi provvisori.

Professore, qual è il disegno che coltiva Donald Trump?

Un disegno chiaro: “io parlo solo con i leader monocratici”. E così il mondo, dove l’arretramento della democrazia è in corso già da anni, fa un ulteriore salto in avanti. Trump è deciso a usare il potere esecutivo per schiacciare tutti gli altri. A mettere sotto attacco gli equilibri interni. A servirsi di un braccio economico per dare forza all’azione di indebolimento della democrazia.

Come la spiegherebbe questa azione con sei parole?

Autoritarismi di tutto il mondo, unitevi.

E Putin? Lei lo conosce benissimo.

Il presidente russo vuole un accordo diretto tra persone che in casa loro trovano ostacoli.

E la Cina quale ruolo ha in tutto questo scenario?

La Cina è, dietro la Russia, il protagonista nascosto.

Trump pare che consideri l’Europa come un nemico. Ora l’Europa guarderà di più a Pechino?

Se gli Stati Uniti chiudono, l’Europa dovrà cominciare a considerare tutto il mondo come il mercato alternativo. Penso a un grande salto in avanti. Penso alla Cina, all’India e ad altri interlocutori come l’Africa e l’America Latina.

Torniamo all’Europa: rimane sempre l’eterna incompiuta?

L’Europa è un pane meraviglioso, ma è ancora mezzo crudo. Non soddisfa. Non piace. E allora o decide di cuocersi definitivamente o il rischio è mortale.

Quel pane si cuocerà?

Gli avvenimenti di questi giorni affrettano le decisioni. Certo non è possibile che noi scriviamo il menù e a tavola si siedono russi e americani. Non è possibile che ancora ci sia chi non capisce che solo se siamo insieme abbiamo un futuro grande. Abbiamo una prospettiva luminosa. Abbiamo la forza per rientrare nel gioco. Ripeto che è una questione vitale: o stiamo insieme o sarà un futuro tristissimo per la politica e per l’economia

Il riarmo deciso dalla Commissione Von der Leyen è un passo inevitabile?

L’Europa ha un immenso patrimonio di welfare, di diritti. Ma oggi la sfida è anche quella di sostituire l’ombrello americano con quello europeo. Per anni l’America ci ha riparato dalla grandine, ora è il momento di farci il nostro ombrello. Penso a un lungo e indispensabile cammino verso la difesa comune. Penso a risorse aggiuntive che vengano progressivamente messe insieme da tutti i Paesi Ue. Penso a risorse spese in modo coordinato e unito. Se aumentiamo le spese militari senza organizzare una politica estera e una difesa comune, sono soldi buttati via. Insomma, ottanta anni di pace sono stati garantiti anche dalla nostra adesione alla Nato e dall'ombrello americano che, chiudendosi, ci impone di attrezzare e predisporre un comune sistema di difesa.

Crede davvero che sarà possibile?

La svolta americana impone una accelerazione. I tempi dipenderanno da più di un fattore. A cominciare dalle decisioni prese non più all’unanimità, ma a maggioranza come fu sull’euro.

Però solo un italiano su tre pare favorevole a dotarci di più armi.

Riarmo è una brutta immagine. Pensata solo da chi non capisce lo spirito della gente. Io avrei usato altre parole. Difesa. Protezione. Sicurezza. Libertà. Ma quanti errori... Abbiamo affrontato la questione dividendo e isolando il mondo pacifista. Quando invece bisognava spiegare la forza della parola “difesa”. Il tema non può essere “armi sì-armi no”, il tema è che l’Europa in questo momento non viene riconosciuta. Prodi non è guerrafondaio. La bandiera della pace la sventolo anche io. Anzi, l’ho sempre sventolata. Prima di tutte le altre bandiere. Ma se si isola il problema dell’esercito da tutti gli altri, non facciamo un buon servizio al futuro. Se non si capisce che il tema difesa va declinato accanto al tema economia, al tema salute, al tema istruzione, non si riesce a guardare avanti. E, in questo momento, guardare avanti vuole dire anche immaginare un’Europa che abbia voce in capitolo.

L’ultimo voto del Parlamento Europeo a Strasburgo quale Italia ha raccontato?

Un’Italia divisa. Nella maggioranza e nella minoranza.

Ha sentito in questi giorni Elly Schlein? La leader del Pd le ha chiesto consigli su come uscire dalla tempesta?

In politica non si chiedono consigli, si costruiscono squadre che formano le volontà. La democrazia è fatica. E in Europa non esiste un Paese in cui un partito abbia la maggioranza. Ecco il tema: creare la compagnia di viaggio.

Conte e i 5 stelle possono far parte della compagnia?

C’è tanta distanza. Troppa. Questo gioco della separazione quotidiana vuol dire condannarsi alla sconfitta. E invece la sfida è trovare una capacità di mediare avanzando. Servono proposte innovative. Servono proposte che emozionano. Che prendono il cuore. Perchè c’è metà del Paese che non va più a votare. E perchè i giovani non si convincono con proposte in contrasto tra loro.