I "dimenticati" della rotta turca. La traversata costa tra 2.500 e 8mila euro
La “rotta turca” non è né una rotta nuova né una rotta minore. Anzi è quella in maggiore crescita. I primi arrivi risalgono alla fine dello scorso secolo. Sono soprattutto turchi e iracheni di etnia curda. Arrivarono in migliaia, soprattutto nella Locride, e la loro accoglienza fece storia (non solo Riace). Ma gli arrivi, pur calati, non sono mai cessati. E, anzi, negli ultimi anni sono tornati a crescere, malgrado i miliardi concessi dalla Ue alla Turchia per ospitare i profughi. Numeri da record.
Nel 2020 erano stati 2.500 gli immigrati arrivati sulle coste calabresi, e 1.200 su quelle pugliesi. Il 2021 è drammatico, con numeri che triplicano: 11mila persone tra Puglia e Calabria, circa il 20% di tutti gli arrivi in Italia. Un incremento che non si ferma. Nel 2022 solo sulle coste reggine sono sbarcate più di 10mila persone, il 10% di tutti gli approdi in Italia, ben 113 sbarchi rispetto ai 65 del 2021, più del 76% (86) solo nel piccolo paese di Roccella Ionica, oltre 7mila persone su una popolazione di appena 6mila abitanti. E sempre lo scorso anno altri 8mila immigrati approdano sulle coste crotonesi, soprattutto nella zona di Isola di Capo Rizzuto e Cutro, e circa 2mila su quelle pugliesi, in particolare Santa Maria di Leuca, ma anche nel Salento. Numeri in fortissima crescita, dunque, negli ultimi anni.
L’ultimo rapporto di Frontex, l’agenzia per l’immigrazione della Ue, riferisce che nel 2022 lungo la rotta turca e mediorientale sono approdati sulle coste europee 42.831 immigrati (la metà in Italia), il 108% in più rispetto al 2021. Un incremento più che doppio rispetto alla rotta del Mediterraneo centrale (quella libica) cresciuta “solo” del 51% e arrivata a 102.529 persone. Il record è della rotta balcanica terrestre, con 145.600 immigrati e un incremento del 136%.
Ma la “rotta turca” sta diventando sempre più un’alternativa meno faticosa, meno rischiosa, anche se molto più costosa. Si paga tra 2.500 e 8mila euro a persona, meno per i bambini, sconti familiari. E, infatti, sono sempre più le famiglie che si imbarcano sulle coste turche, con molti minori e anche disabili gravi. Afghani, iraniani, siriani, iracheni, curdi, yazidi, palestinesi, pachistani, le nazionalità e le etnie più frequenti. Non africani.
Una rotta che dura 4-6 giorni. Si viaggia soprattutto in barche a vela (scafisti turchi e di repubbliche ex sovietiche), ma anche su vecchi pescherecci in legno, come quello naufragato a Cutro (si paga meno). Per un po’ erano scomparsi ma ora, dopo il terremoto in Turchia, le partenze aumenteranno e proprio su questi scassati barconi. Con un aumento dei rischi di naufragio. Ma quelli di Cutro non sono i primi morti lungo la rotta turca. Sia in Calabria che in Sicilia e Puglia. Il 10 gennaio 2019 una barca di 51 curdi, si incaglia a pochi metri dalla spiaggia di Torre Melissa, vicino a Crotone.
Vengono salvati grazie a una catena umana di cittadini e forze dell’ordine. Purtroppo c’è un disperso, un ragazzo di 21 anni, il cui corpo sarò ritrovato solo dieci giorni dopo. Il 30 agosto 2020, davanti a Sellia Marina, nel Crotonese, durante un soccorso esplode una barca che trasportava 21 immigrati, quattro muoiono e restano feriti anche due finanzieri. Il 6 maggio 2021, nel corso dello sbarco di una barca a vela con 109 immigrati sulla costa di Siderno, nel Reggino, l’imbarcazione impatta contro il vecchio pontile e si capovolge.
Muoiono i due scafisti. Il 12 settembre 2022 giungono nel porto di Pozzallo, in Sicilia, 26 immigrati siriani e afghani, salvati da un mercantile e poi dalla Guardia costiera. Venivano dalla Turchia ma il motore si è rotto è sono rimasti in balia del mare per 15 giorni. Altri sei, tra i quali tre bambini, muoiono di fame e sete, e vengono lasciati in acqua. Il 18 novembre 2022, nel porto di Santa Maria di Leuca giunge una barca a vela con 102 persone migranti. Tra di loro un morto. Un uomo di circa 40 anni, curdo iracheno, stroncato dal lungo viaggio.
Drammi di una rotta che, malgrado il fortissimo incremento, non trova in terraferma un’adeguata struttura di accoglienza. In Calabria c’è solo il Cara di Isola di Capo Rizzuto, sempre strapieno, perché ospita anche immigrati trasferiti da Lampedusa, al punto che è stato necessario mettere delle tende aggiuntive. A Roccella Ionica non c’è nulla, solo una tensostruttura sulla banchina del porto gestita dalla Croce rossa. Se l’accoglienza regge è solo grazie alla disponibilità dei sindaci calabresi e alla generosità dei cittadini. Ma non può bastare. I sindaci hanno più volte chiesto un maggior intervento dello Stato ma per ora non si è visto nulla.