Renzi. «Aumenti a maggio o sono un buffone»
Matteo Renzi siede nel salotto di Bruno Vespa il giorno dopo la conferenza stampa a tutto campo sul governo. Ma adagiato comodamente in poltrona davanti alle telecamere di Porta a porta , il premier si lascia andare su tutto: impegni, promesse, desideri, confidenze. Ne ha fino al 2018, quando si tornerà a votare: «Sono convinto che questa classe politica in Parlamento ha l’ultima chance per dimostrare che può fare le cose». Quali e quante cose non si contano. Renzi le ha già elencate, ma nel tempo lungo dell’intervista non tralascia dettagli. Sempre mettendoci la faccia: «Se perdo la scommessa immagino dove mi possono mandare gli italiani...», ironizza. «Ci siamo dati delle scadenze. Il tema è che se il 27 maggio queste cose non arrivano Renzi è un buffone...».
Il premier parla in prima persona, perché si sente il solo a rischiare. E così lo stesso ministro dell’Economia Padoan viene sollevato da responsabilità. Non è lui la «strega cattiva». Con il suo consenso, dunque, «la spending review sarà affidata a Palazzo Chigi » e non al ministero dell’Economia. «La colpa se la deve prendere il presidente del Consiglio». E i tagli ci saranno. Da quelli più efficaci mediaticamente, come le auto blu, a quel- li derivanti dall’abolizione delle Province. «Venderemo le auto blu all’asta così i simboli del potere saranno a portata di mano. Certo è un aspetto simbolico della spending review poi c’è la vera riduzione delle spese». Un esempio: «Sono 108 le sedi della Banca di Italia e 108 sedi delle prefetture che piano piano vanno via» con l’eliminazione delle Province. Poi ci sono «gli stipendi dei manager della pubblica amministrazione ». Sono «troppo alti. Prenderemo 500 milioni di euro dagli stipendi dei manager pubblici», incalza Renzi, che comunque esclude la patrimoniale. Via, ancora, «i vitalizi» dei consiglieri regionali. A fronte dei tagli, ci sarà chi mette in tasca, in questa «manovra» che riporta «equità sociale».
«Dieci miliardi di euro per dieci milioni di persone. Che si tratti di 75 euro o 85 poco importa. L’importante è che ci sia la percezione che il governo ha fatto questo. Un’operazione di marketing? Certo, anche ». Ma «è la prima volta» che accade. E ovviamente, conferma il presidente del Consiglio, «i soldi ci sono, il punto è dove si mettono». Ma «per mantenere la promessa bastano 6,6 mld di euro». Il premier dell’era digitale, tra slide e Twitter, continua a cercare i cittadini. «Dietro i numeri c’è una vita reale di persone che hanno visto finora le bollette crescere e gli stipendi bloccati. Per la prima volta il governo mette un limite agli stipendi dei consiglieri e dà ottanta euro permanenti al mese nella busta paga. In ogni caso tutti i dati verranno messi online». E poi, fiore all’occhiello, lo sblocco dei debiti della P.a., che però slitta. «Il 21 settembre, a San Matteo, se abbiamo sbloccato tutti i debiti della P.a., lei va in pellegrinaggio a piedi da Firenze a Monte Senario», scherza Renzi con Vespa. Purché «facciamo un accordo serio », perché «i contratti qui portano sfortuna... », ironizza sul celebre precedente di Berlusconi. Nella rivoluzione renziana non mancherà la riforma della Sanità. «Abbiamo dei margini di miglioramento. La spending review la facciamo, ma i soldi li lasciamo sulla Sanità», perché, spiega, «mi fanno notare che la Sanità è un settore in cui aumentando l’età media, deve aumentare necessariamente la spesa». Riforme su riforme, senza ascoltare i sindacati? «Sì – replica il premier senza timore – . Le cose le decidiamo noi. Ci pagano per questo. Poi se sbaglio, pago io». E allora, si scherza: «I tavoli li fanno i mobilieri, noi risolviamo i problemi».
E giù duro: «Sarebbe bello sapere quanti lavoratori rappresentano i sindacati Cgil, Cisl e Uil». Trattamento duro anche per «i dirigenti pubblici » che «per definizione non possono essere a tempo indeterminato». Quanto alle nomine, «ci sono cinque grandi aziende che scadono: Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e Poste. In un tweet, «prima la missione, la strategia, poi i nomi». Barra dritta, poi, sulle riforme, con le scadenze già elencate. E il lato umano. Una battuta su Brunetta, che lo paragona a Tremonti: «Nella sua scala subito dopo c’è 'stalinista'». E una su Letta, con cui non pensa ora a ricucire. «Ognuno ha le sue amarezze personali. Io ho un bel pelo sullo stomaco, ma spesso la sera è dura inghiottire quello che c’è da inghiottire». Poi avanti a testa bassa per conquistare i voti degli avversari. Alle politiche più che alle europee.