Giustizia. Rigopiano, definitiva la condanna dell'ex prefetto
I familiari delle vittime di Rigopiano
Nuovo processo di appello per dieci imputati e condanna definitiva ad 1 anno e 8 mesi per l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, per i reati di omissione di atti d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico, e per l’allora titolare del resort. A quasi otto anni dalla tragedia di Rigopiano (18 gennaio 2017), dove morirono nell’hotel travolto dalla valanga 29 persone, arriva dai giudici della sesta sezione della Cassazione un punto alla vicenda. La Suprema Corte ha, quindi, parzialmente accolto le richieste della procura generale: il nuovo processo di appello, che si svolgerà davanti ai giudici di Perugia per competenza, riguarderà anche i sei dirigenti del servizio di Protezione civile della Regione Abruzzo che erano stati assolti nei primi due gradi di giudizio, come era stato sollecitato dal sostituto procuratore generale. Gli ermellini chiedono ai giudici umbri di valutare per loro le pesanti accuse di disastro colposo e lesioni plurime colpose. E un nuovo processo di secondo grado ci sarà anche per l’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta. Con lui dovranno affrontare il vaglio dell’appello bis anche il tecnico del Comune all’epoca dei fatti, nonché ai due funzionari della Provincia di Pescara. Per i quattro, già condannati nel primo processo di appello, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e ha disposto un nuovo giudizio per rivalutare le loro posizioni per le accuse di omicidio e lesioni colpose plurime. Posizioni, queste ultime, su cui incombe però il rischio prescrizione.
Dopo una camera di consiglio di diverse ore, i giudici hanno inoltre confermato le assoluzioni disposte in primo e secondo grado per il delitto di depistaggio contestate all’allora prefetto e ai suoi funzionari. Passaggio, questo, sottolineato dal legale di Provolo, Giandomenico Caiazza. La sentenza, dice infatti, cancella «l’infamia a suo carico, ritenuto da molti come il principale colpevole della tragedia. Cadono le infamanti accuse di depistaggio e omicidio colposo plurimo e resta la condanna per omissione in atti di ufficio e falso che non condividiamo ma che accettiamo».
Diventano, invece, definitive le condanne del capo di gabinetto della prefettura per falso ideologico, del gestore dell’albergo travolto, Bruno Di Tommaso (6 mesi), e del geometra che aveva redatto la relazione allegata al permesso per la ristrutturazione della struttura per i reati di falsità ideologica loro attribuiti. Sui risarcimenti per le parti civili si deciderà all’esito del giudizio di rinvio. Le motivazioni della sentenza arriveranno nei prossimi mesi.
Nella requisitoria, il pg aveva affermato che in quel giorno «il pericolo valanghe era forte, un livello 4, e venne comunicato alla prefettura. Non c’era un vero allarme rosso ma sussisteva un pericolo forte che rendeva necessario istituire il centro di coordinamento dei soccorsi, che avrebbe reso possibile approntare misure, come la chiusura di strade e l’invio dell’esercito come poi è stato fatto». Parole che richiamano quanto cristallizzato nelle motivazioni della sentenza di appello, emessa dai giudici dell’Aquila per i quali la situazione meteorologica estrema «concretizzava il rischio di un pericolo e poco conta il fatto che fino ad allora, in quell’area, non si erano verificati episodi di particolare gravità». Per i giudici questa situazione «non rappresentava un’esimente dalla necessità di intervenire». Erano tre le iniziative da prendere per evitare il peggio: chiudere la strada, sgomberarla dalla neve ed evacuare l’hotel. E nessuna di queste è stata presa.
Una decisione, ha commentato Antonella Pastorelli, madre di Alessandro Ricetti, il receptionist morto per la valanga, «che ci restituisce un po’ di fiducia», ma «non i nostri cari. La speranza è che questa tragedia abbia insegnato qualcosa. Potevano essere salvati, quel maledetto giorno, se solo ci fosse stata la consapevolezza della situazione e chiarezza sulle azioni da attuare».