Attualità

Scuola. Altro che Venditti: c'è il diritto all'istruzione dei disabili a rischio

Pino Ciociola e Paolo Ferrario martedì 27 agosto 2024

Un'insegnante di sostegno in classe accanto a un bimbo con disabilità

La notizia che impazza sui giornali e online è quella del concerto di Antonello Venditti di domenica scorsa, in cui il cantante ha insultato una fan disabile (senza sapere che lo fosse) colpevole di averlo involontariamente interrotto mentre cantava sul palco. Un brutto equivoco, e un brutto comportamento per cui lo stesso Venditti s'è scusato prima coi genitori della ragazza e poi col pubblico. Quello di cui invece si parla troppo poco, e che succede di nuovo, è la prospettiva concreta di un anno scolastico in cui il diritto all'istruzione e allo studio dei bambini e dei ragazzi disabili sia messo a rischio dai tagli alle ore di sostegno e ai Piani educativi personalizzati, su cui si abbate regolarmente la scure della disorganizzazione e della mancanza di fondi. È quello per cui i genitori e gli insegnanti sono scesi in piazza ieri a Genova, per la prima di una serie di proteste che culmineranno il 4 di settembre a Roma davanti al ministero dell'Istruzione. Ed è il principio messo nero su bianco - per la prima volta, incredibilmente, contro tutte le pronunce precedenti e in barba alle indicazioni della Corte Costituzionale - da una sentenza del Consiglio di Stato. Ma andiamo con ordine.

Il sostegno in classe? «Questione di cassa»

Diritti & denari. L’inclusione scolastica dei ragazzini disabili è sacrosanta, mica assoluta: dipende dai soldi nelle casse del Comune. Parola, anzi sentenza (la numero 1798 del 2024), del Consiglio di Stato appunto, che qualche giorno fa ha confermato la decisione del Tar e quindi ri-bocciando il ricorso della famiglia di un ragazzo contro la riduzione delle ore d’assistenza scolastica per l’anno passato. Perché «destituito di fondamento fattuale». Mettiamola facile. Ogni alunno con disabilità ha un “Piano educativo personalizzato” (Pei), che viene messo a punto entro il 30 novembre di ogni anno dal dirigente scolastico insieme al Consiglio di classe, all’Unità multidisciplinare, agli operatori psico-socio-sanitari, ai genitori dell'alunno e alle figure professionali specifiche interne ed esterne alla scuola che interagiscono con la classe. Un Piano che serve a rendere ottimale l’apprendimento e lo sviluppo e, attraverso una «didattica inclusiva», formare «una comunità accogliente - stando al ministero dell’Istruzione - nella quale tutti, a prescindere dalle condizioni personali, trovano opportunità per realizzare esperienze di crescita». Piano, infine, che prevede anche quante ore il ragazzo necessita dell’«Assistente specialistico all’autonomia e alla comunicazione».

Sempre in soldoni, poniamo che la scuola, attraverso il Pei, chieda dieci ore a settimana e il Comune faccia sapere che i denari ci sono solo per tre, amen, si fanno le tre e fine della storia, visto che il Pei vale come proposta, ma non vincola nessuno, avvisa il Consiglio di Stato. Tant’è che cita la Convenzione Onu approvata il 12 dicembre 2006 (e ratificata dal nostro Paese nel 2009), che «non conia un diritto incondizionato all’inclusione scolastica», ma «tiene a battesimo la nozione di accomodamento ragionevole, intendendosi le modifiche e gli adattamenti necessari e appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo».
Morale? Il diritto all’inclusione scolastico sarà pure sacro e santo, ma appunto senza esagerare con le spese. E il Consiglio di Stato come mette un’ultima pezza? La riduzione delle ore di assistenza, di cui si erano lamentati i genitori del ragazzo, non gli ha impedito di raggiungere gli obiettivi educativi. E così, a conti fatti, il Comune ha pure risparmiato.

Solo che le associazioni non ci stanno affatto: «Il diritto allo studio degli alunni con disabilità prevale sui vincoli di bilancio: lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale nella sentenza n. 265 del 2016», ricorda l’Associazione italiana persone down (Aipd). E «di fronte a una brutta sentenza del Consiglio di Stato – dice il presidente, Gianfranco Salbini –, sento la necessità di rilanciare e rivendicare con forza l’intangibilità di questo diritto, messo in discussione dall’ennesimo tentativo di sottometterlo alle esigenze di bilancio». Con questa sentenza che «rischia infatti di portare a una compressione del diritto all’inclusione, specialmente in un contesto in cui le risorse sono spesso già scarse».

Stessa sostanza nelle parole della federazione per il superamento dell’handicap (Fish), che sottolinea il «duro colpo per i diritti degli studenti con disabilità», con una decisione che «rischia di minare i diritti costituzionalmente garantiti e rappresenta un grave passo indietro nella tutela dei diritti fondamentali», a cominciare dalla negazione «del diritto all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione», che «nella sentenza è declassato ad un semplice interesse legittimo, subordinato alle disponibilità di bilancio degli enti locali». Che «contrasta apertamente con la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale». Durissima anche la posizione del “Coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down ( Coordown), secondo cui questo è «un precedente preoccupante», che potrebbe «legittimare gli enti locali a fare in futuro scelte al ribasso sulle spalle delle alunne e degli alunni con disabilità nell’assegnazione delle ore». Quanto poi, alle Nazioni Unite, «è quanto meno fuorviante il richiamo al principio dell’accomodamento ragionevole, previsto dalla Convenzione Onu» - annota il Coordown -, perché «dovrebbe essere uno strumento a tutela delle persone con disabilità, mentre in tale contesto viene utilizzato espressamente per legittimare interventi contro le stesse!».

Il grido della famiglia di Sirio: «Ci portano via anche il presente»

Un vincolo di bilancio. Non è la prima volta che queste parole provano a portarmi via qualcosa: a strapparmi via i diritti basilari. Non i miei, quelli di Sirio, il bambino tetraplegico, tracheostomizzato e tante altre cose, che vi siete abituati a vedere su queste pagine: ma i diritti universali, quelli di tutti e di tutte». Già, Sirio ha dieci anni e per raccontare la nascita della “Fondazione Tetrabondi onlus”, nel 2018 con la su famiglia hanno aperto i canali social @tetrabondi, per «raccontare in modo schietto e privo di pietismi la vita quotidiana di un bambino con una disabilità complessa, ad alta intensità assistenziale», dicono loro stessi. Lui ha «tetraparesi spastica, paralisi cerebrale, sordità e tanti optional sul suo corpo come una trachestomia e una gastrostomia, protesi acustiche e tanti tipi di tutori e ausili, per muoversi nel mondo» e proprio Sirio, proprio sui social, ha tirato fuori per primo la sentenza del Consiglio di Stato sull’inclusione scolastica: «Nel momento in cui - si legge -, davanti al diritto all’istruzione, così come quello ad una vita indipendente e autonoma, si mette un vincolo di bilancio, si frantuma tutto», hanno scritto qualche giorno fa.

Un frame del video con cui Antonello Venditti si è scusato sui social per gli insulti alla ragazza disabile che lo ha “disturbato” durante il suo concerto - Ansa

E ancora: « Il Consiglio di Stato si è pronunciato con chiarezza ed è avanzato come un carro armato sui diritti delle persone con disabilità: sui diritti dei bambini e delle bambine con disabilità. Come per l’assistenza domiciliare, anche l’inclusione scolastica diventa qualcosa di auspicabile, e di non vincolante. È auspicabile il sostegno scolastico, è auspicabile un assistente alla comunicazione, una figura specializzata capace di costruire percorsi didattici e sociali». Risultato, scrivono chiaro e tondo Sirio e la sua famiglia, «dimenticatevi i diritti, dimenticatevi la Lingua dei segni parlata da classi intere, dimenticatevi le battaglie per ottenere dei Pei in grado di costruire obiettivi reali: conta il bilancio». Difficile capire se ci venga fuori più rabbia o più amarezza: «L’inclusione scolastica e quindi il nostro diritto inalienabile all’istruzione e alla socialità con i nostri coetanei - vanno avanti - si sbriciola su dei fogli di carta che ci considerano numeri, ci considerano un peso, una perdita economica». Come pure «i diritti non sono più inalienabili, ma auspicabili».

Allora, così, «non è il nostro futuro ad essere a rischio, ma il nostro presente, la nostra possibilità di esserci, di imparare, di crescere e perché no, anche insegnare le nostre competenze specifiche!». Non è finita qui, il post è accurato e accorato, loro sono spesso ironici, stavolta è davvero impossibile: «Quel mondo di tutti di cui sempre vi parliamo, ha bisogno di ognuno di voi, per ribadire che non siamo cittadini di serie b, che le nostre vite non possono essere vincolate ai bilanci, che lotteremo con tutte le nostre sgangherate forze per i diritti inalienabili di ognuno: per l’istruzione, per il diritto all’assistenza personalizzata e alla vita indipendente. Dunque, concludono sempre senza giri di parole, «non un passo, non una ruota (della carrozzina, ndr): indietro non si torna!».

La protesta dei genitori e degli insegnanti

È partita ieri da Genova, la mobilitazione delle famiglie degli alunni con disabilità e degli insegnanti di sostegno precari che, nelle intenzioni dei promotori, vuole coinvolgere tutta l’Italia. Già il 4 settembre saranno a Roma sotto le finestre del Ministero dell’Istruzione e del Merito. A una settimana dall’avvio del nuovo anno scolastico e a quindici giorni dalla ripresa delle lezioni (tra il 5 e il 16 settembre a seconda dei diversi calendari regionali), si scalda, dunque, la tematica sempre sensibile dell’inclusione degli alunni disabili. Nell’anno scolastico che si sta per chiudere erano 311.201, mentre 194.481 erano i posti per gli insegnanti di sostegno. Di cui 126.170 di ruolo e 68.311 in deroga, cioè assegnati a supplenti. Inoltre, secondo gli ultimi dati dell’Istat, 67mila insegnanti di sostegno non hanno l’abilitazione specifica e quasi il 60% degli alunni ha cambiato insegnante rispetto all’anno precedente.

Un momento della protesta dei genitori degli studenti disabili insieme agli insegnanti di sostegno a Genova - .

«Ci preoccupano i tagli del governo e l’inclusione scolastica in pericolo», denuncia Marco Macrì, padre di due bimbi, di cui uno con disabilità ed esponente del comitato “Famiglie senza cure”. La protesta dei genitori è anche rivolta a sostenere le rivendicazioni degli insegnanti di sostegno precari che, dopo aver frequentato costosi corsi di abilitazione, ancora non hanno ottenuto la cattedra. Su questo tema è stata convocata, sempre ieri, un’assemblea nazionale promossa dal Collettivo docenti di sostegno specializzati (Cdss) per definire «le mobilitazioni del prossimo autunno in difesa della formazione e dell’inclusione». In particolare, gli insegnanti puntano il dito contro la decisione del Ministero di aprire alle università online per i percorsi di formazione Tfa e di accettare l’equipollenza di titoli accademici conseguiti all’estero.

«Da tempo chiediamo che i corsi Tfa siano gratuiti e che gli insegnanti di sostegno siano formati nei nostri atenei – sottolinea Macrì –. Invece, la soluzione adottata dal ministro Valditara di rendere equipollenti i titoli conseguiti all’estero costituisce, a nostro giudizio, una discriminazione degli studenti disabili». «Correttezza» chiede anche Caterina Marcianò, docente di sostegno di 36 anni, «da poco specializzata sull’inclusione, spendendo 3mila euro di corso Tfa e altri mille di viaggio». Per potersi permettere questi costi, la docente racconta di essere stata costretta a tornare a vivere con i genitori. «Tutto questo – riprende Marcianò – svolgendo il Tfa in Italia con obbligo di frequenza, tirocinio a stretto contatto con gli studenti per una formazione autentica e di qualità, a differenza dei corsi che si svolgono all’estero e non paragonabili minimamente al nostro percorso di formazione. Mettere sullo piano le due formazioni chiaramente differenti significa svalorizzare la nostra formazione pagata e sudata in Italia per accompagnare gli studenti nel loro percorso scolastico con le risorse necessarie in un’età complessa. In definitiva, significa non dare valore al nostro ruolo nella società».

Le modalità per la compilazione delle graduatorie e l’assegnazione delle cattedre di sostegno sono denunciate anche da Annick Donelli, docente romana di 50 anni, in una lettera all’Ufficio scolastico regionale del Lazio. «L’anno scorso con 59 punti ero 1300esima quest’anno con 90 punti e tre anni di servizio con supplenze annuali sono 2422esima – scrive la docente –. Mi domando come sia possibile un tale sistema. Ho una laurea in servizio sociale, una delle poche pertinenti al ruolo che ci viene richiesto, ho lavorato come assistente specialistico alle persone disabili per tanti anni e ancora mi vedo superata da persone che di disabilità ne sanno poco o nulla e che semplicemente hanno “comprato” un’abilitazione ottenendo in un attimo una quantità spropositata di punti».