Coronavirus. La scuola, respiro della società (ma la politica cerca scorciatoie)
Ci eravamo particolarmente emozionati, quest’anno, a rivedere i nostri figli con zaino in spalla varcare nuovamente o per la prima volta la soglia delle scuole chiuse ormai da troppi interminabili mesi. Sapevamo e sappiamo che le cose sarebbero state molto diverse e complicate, ma l’energia messa in campo dai dirigenti scolastici e dal personale docente e non docente per rendere sicure le scuole, grazie anche ai finanziamenti dello Stato, ci lasciava ben sperare.
Gli stessi alunni, con una nuova luce in volto e occhi a volte preoccupati ma carichi di attese, manifestavano intensamente il desiderio di ritornare ad abitare un luogo che finalmente stavano avvertendo come proprio e indispensabile. Come dire: in ogni relazione significativa la mancanza genera speranza e lascia sognare tempi migliori. È accaduto invece che, quando la curva dei contagi è tornata ad essere minacciosa e giustamente a preoccupare, la prima istituzione ad essere sacrificata è stata proprio la scuola: in Campania tutte le scuole di ogni ordine e grado sono chiuse.
Praticamente la soluzione più semplice, politicamente la decisione più drammatica. Perché mortificare proprio chi, oltre ogni personale responsabilità, coltivando ancora un sogno educativo, ha messo in campo forse le azioni più sicure per il bene e il futuro di questo Paese? C’era bisogno della pandemia per tornare a parlare e affrontare annosi problemi? Sanità, edilizia scolastica, trasporto pubblico sono questi oggi i nodi sotto la lente di ingrandimento: in una campagna elettorale vissuta e condotta sulla paura dei cittadini e su proclami quasi messianici di salvezza, ci si è colpevolmente o strategicamente dimenticati dei programmi e di un dibattito pubblico sulle questioni che da anni ci tengono all’angolo. Basterebbe leggere la cronaca degli ultimi decenni per comprendere lo stato in cui versano la sanità pubblica o il sistema dei trasporti.
Di fronte a tutto questo può essere la chiusura delle scuole la soluzione? Alcune riflessioni, allora, vanno pur fatte: quanto incide il trasporto pubblico come vettore del contagio sulla popolazione scolastica di infanzia, elementari e medie? Nei comuni il trasporto di questa popolazione è localmente organizzato e perlopiù a carico dei genitori, rispetto al-l’effettivo problema di chi, invece, frequenta le superiori. Una chiusura generalizzata non è di fatto comprensibile. Ma soprattutto quando bambini e adolescenti recupereranno il gap formativo che stanno accumulando? Immagino i bambini delle prime elementari che si trovano da soli a casa e con loro tutti gli altri bambini che privati della socializzazione apprenderanno con ritardo le essenziali regole del vivere in società. Regole che, in contesti limite o in assenza di famiglie “educative”, solo la scuola è in grado di mostrare, insegnare e trasmettere. La Didattica digitale integrata (Did) raggiungerà veramente tutti? Tutte le famiglie hanno possibilità di connessione e strumenti utili per questo tipo di didattica? Tutti i genitori avranno la possibilità di restare a casa per seguire i propri bambini che hanno comunque la necessità di un adulto che gli stia vicino? Chi non potrà/dovrà recarsi fisicamente nel luogo dell’apprendimento avrà interesse a dedicarsi alla Did o preferirà rimanere per strada rischiando percorsi di facile devianza? Come possono sostenere la Did i ragazzi fragili o disabili già privati in molti casi di un docente di sostegno? Chi sosterrà il carico emotivo ed economico di genitori già provati dal lungo lockdown? Le scuole non possono restare chiuse: l’istruzione è salute, è l’anima di un popolo civile, libero e democratico. La scuola è il respiro della società. La scuola insegna a respirare proprio come i genitori insegnano a camminare.
docente di Sociologia e Dottrina Sociale della Chiesa PFTIM sez. S. Tommaso Napoli