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Ospedali & salute. I dati dicono che la «sanità per censo» è un rischio concreto

Mario Folti mercoledì 27 marzo 2024

L'accesso alla sanità è un diritto fondamentale, ma in Italia, come dimostrano i dati del 21° Rapporto "Ospedali & Salute", ci sono disuguaglianze economiche e sistemiche che minano questo principio. Nel 2023, il 42% dei pazienti con redditi più bassi, fino a 15 mila euro, ha dovuto rinunciare o procrastinare le cure a causa della difficoltà di accesso al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) e delle difficoltà nel sostenere i costi della sanità privata. Un fenomeno allarmante, come evidenziato dall'Associazione Italiana Ospedalità Privata (Aiop) e dal Centro Studi Investimenti Sociali (Censis).

Le disparità emergono chiaramente dai dati. Mentre il 32,6% di chi ha un reddito tra i 15mila e i 30mila euro e solo il 14,7% di quelli oltre i 50 mila euro rinunciano alle cure, il 50,4% dei redditi più bassi è costretto a sacrificare altre spese per sostenere quelle sanitarie. Questo "effetto erosivo" sulla ricchezza colpisce in modo sproporzionato le fasce economiche più basse, con il 36,9% degli italiani che rinuncia ad altre spese per sostenere quelle sanitarie.

L'accesso alla sanità pubblica è complicato dai tempi di attesa, che spesso risultano incongrui con la gravità delle condizioni mediche. Questo porta al rischio di avere a che fare con una "sanità per censo", dove coloro che possono permetterselo si rivolgono al mercato privato, lasciando che rimangano indietro coloro che non hanno sufficienti risorse economiche. Il 34,4% dei redditi più bassi è infatti costretto a rivolgersi alla sanità a pagamento dopo tentativi falliti di accesso al Ssn.

La cosiddetta "mobilità sanitaria" è un altro indicatore di disuguaglianza. Il 16,3% dei pazienti si sposta in altre regioni a causa delle lunghe liste di attesa, un problema che coinvolge il 31,6% di coloro che sono in cattiva salute. Molti altri sono costretti a viaggiare per più di 50 chilometri per accedere alle cure necessarie. Questa mobilità riflette la ricerca di quello che si ritiene un servizio migliore, oppure la necessità di un secondo parere o anche la mancanza di offerta nella propria regione.

Le differenze territoriali sono evidenti anche nelle percezioni della sanità pubblica. Mentre il 47,7% degli utenti ha una visione positiva del Servizio Sanitario Regionale, solo il 29% degli abitanti del Sud e delle Isole dà un giudizio favorevole. Questo si traduce in un 35,2% di utenti del Sud e delle Isole che ritengono il loro Ssr insufficiente, rispetto al 9,4% del Nord-Est.

L'eterogeneità nella qualità dei servizi sanitari è un problema di sistema. Ci sono differenze significative tra le strutture pubbliche e private, sia in termini di accesso che di qualità delle cure offerte. Mentre al Nord le strutture private sono spesso percepite come di alta qualità, al Centro è il contrario, con le strutture pubbliche che godono di maggior fiducia.

«Il 51% degli italiani si rivolge alla sanità privata direttamente, senza prima richiedere la prestazione necessaria alla sanità pubblica», ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci, che ha parlato di «criticità» per un «atteggiamento di sfiducia» da parte di chi si rivolge all’offerta sanitaria privata «pur senza aver prima provato il Servizio sanitario nazionale». Una scelta che, secondo il ministro, «può essere conseguenza anche di una rappresentazione di una sanità in crisi», anche se «non è sempre così». Per questo, rileva Schillaci, «dobbiamo recuperare questa parte di italiani».

«L'abbattimento delle liste di attesa è una priorità del nostro governo - ha aggiunto Schillaci -. Sono fiducioso che le misure messe in atto daranno frutti a breve. Il Ssn è fatto dal pubblico e dal privato convenzionato. Se guardiamo ad esempio i dati Ocse sulle liste di attesa si vede come noi siamo ai primi posti in Europa per alcune prestazioni. Quindi credo che riammodernando il Ssn e combattendo le liste di attesa, cosa che stiamo facendo, avremo un piano accurato su questo».

Il ministro ha anche definito «inaccettabile» il fatto che in Italia, come hanno rivelato i dati Istat, «chi ha un titolo di studio superiore, e quindi guadagna di più, vive di più di chi ha un titolo di studio inferiore».