Attualità

Il provvedimento. La riforma del Terzo settore in Senato

Alessia Guerrieri mercoledì 23 marzo 2016
Forse è il giorno giusto. Dopo l’ok ai primi quattro articoli, oggi Palazzo Madama potrebbe dare il via libera alla riforma del Terzo settore. Il condizionale in questo caso è d’obbligo, visto che ieri pomeriggio in Senato ha preso corpo l’idea di rimandare – causa vacanze – l’approvazione del ddl direttamente a dopo Pasqua. Il testo di 11 articoli a firma del senatore Stefano Lepri (Pd), approvato dalla Camera ad aprile 2015 e licenziato la scorsa settimana dalla commissione Affari Costituzionali del Senato, ha fatto il suo ingresso in assemblea un po’ a singhiozzo. Giovedì scorso, infatti, per tre volte in Aula è mancato il numero legale, costringendo il rinvio di una settimana dell’esame dei 700 emendamenti presentati alla legge delega di riforma del settore e di istituzione del servizio civile universale. Molto è cambiato rispetto alla versione approvata da Montecitorio, che quindi costringerà a un ulteriore passaggio parlamentare ipotizzato tra fine aprile e inizio maggio. Terzo settore. Tra le principali novità proprio la definizione di Terzo settore (art. 1), molto più ampia rispetto a quella arrivata dalla Camera. Così, secondo il ddl, comprende «il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale». Vengono poste fuori da questo recinto, dunque, associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e fondazioni bancarie. Anche le operazioni ammesse sono più numerose, perché alle associazioni è consentito promuovere e realizzare «attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita, di mutualità o di produzione o di scambio di beni o servizi». Il governo ora, però, ha il compito di semplificare il procedimento di riconoscimento della personalità giuridica, «nonché prevedere obblighi di trasparenza e informazione» anche attraverso forme di pubblicità dei bilanci (art. 3). Volontariato. Il riconoscimento della specificità del lavoro volontario (art. 5) è uno dei punti fermi raggiunti in commissione. Le questioni da considerare, adesso, perciò non sono solo relative alle tutele dello 'status' di volontario, ma pure quelle delle «organizzazioni di soli volontari, anche operanti nella protezione civile». In più, viene superato il sistema degli osservatori nazionali per il volontariato, prevedendo al loro posto il Consiglio nazionale di Terzo settore come «unico organismo unitario di consultazione degli enti». Infine, altre novità riguardano anche i Centri di servizio per il volontariato, che nella nuova versione possono essere promossi da tutte le realtà del Terzo settore e erogare servizi a tutti, anche se la governance deve essere gestita dalle sole realtà di volontariato. Impresa sociale. Su questo tema le modifiche del Senato hanno riguardato soprattutto le attività svolte dall’impresa sociale (art. 6), non prevedendo più «l’ampliamento dei settori », ma la semplice «individuazione dei settori in cui può essere svolta l’attività d’impresa». Sparisce poi anche la «ripartizione degli utili», sostituita da un mandato al governo per prevedere «forme di remunerazione del capitale sociale» che assicurino la destinazione degli utili alle attività stabilite in statuto. Servizio civile. Sarà universale, riguarderà i giovani dai 18 ai 28 anni, italiani e stranieri regolarmente soggiornanti. Nel nuovo testo, infatti, entrano i giovani stranieri regolarmente soggiornanti e il riferimento alla «difesa non armata della patria»: due punti sui quali si è dibattuto a lungo nell’ultimo biennio. Chiarite anche le competenze tra Stato ed enti locali, come pure la gestione e la valutazione dell’attività degli enti accreditati. Fondazione Italia Sociale. Tolto in extremis l’emendamento del governo (art. 9bis) che istituiva una fondazione – una sorta di agenzia ribattezzata subito 'Iri del Sociale' – capace di attirare le donazioni di imprese e cittadini. Una proposta che ora il governo ha ripresentato, rivista, in Aula, togliendo la sede a Milano ma lasciando il finanziamento pubblico iniziale di un milione di euro. Su questo punto le opposizioni restano sul piede di guerra e, dunque, non è escluso un ulteriore slittamento delle votazioni.