Coronavirus. La ricetta Arcuri: «Serve una riforma per poter gestire le emergenze»
Una riforma per le procedure di emergenza che tenga insieme la Costituzione, il principio di trasparenza e regoli il rapporto tra politici e tecnici. Il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, guarda ai prossimi mesi e assicura: se ci sarà una nuova ondata, saremo pronti.
Ormai sono tre mesi che ricopre questo ruolo. Si può iniziare a fare un bilancio?
Abbiamo attraversato un’emergenza non paragonabile alle altre vissute dal dopoguerra a oggi. Nessuno, nel mondo, aveva un manuale per le istruzioni. L’Italia era disarmata, non produceva i due beni più ricercati: mascherine e respiratori. Dopo tre mesi non dipendiamo più dall’importazione. Dal dopoguerra all’inizio di marzo, in Italia erano stati realizzati 5.179 posti in terapia intensiva; oggi sono diventati 8.375. Abbiamo distribuito 4.200 ventilatori e messo le Regioni nelle condizioni di triplicare i tamponi. Sarebbe sciocco sminuire le difficoltà iniziali, ma è ingeneroso e autolesionista negare o minimizzare il lavoro svolto. Le scelte del presidente Conte e del governo, seguite da altri Paesi, hanno salvato migliaia di vite, perché senza il lockdown l’epidemia sarebbe 'tracimata' al Sud. Infine, gli italiani: straordinari nel rispetto delle regole e nella solidarietà dimostrata in un clima surreale.
Il ruolo di un commissario è complicato dai 'lacci' che contraddistinguono il nostro Paese. Serve una riforma per semplificare le procedure in emergenza?
Penso serva una riflessione che disciplini, in modo stabile, come ci si comporta nei casi di emergenza, quando l’ansia del tempo che non c’è rischia di prevalere su tutto. Pandemie, terremoti, collassi di infrastrutture o minacce terroristiche: negli ultimi dieci anni, l’Italia le ha vissute tutte. Si è sempre ricominciato da capo. Certo, ogni emergenza è unica, ma una riflessione di sistema servirebbe a porre le basi per muoversi più rapidamente e superare le questioni che a ogni crisi si affacciano in sottofondo: la tenuta delle garanzie costituzionali, la trasparenza nelle scelte, il rapporto tra politici e tecnici.
Anche il rapporto con le Regioni non è sempre stato idilliaco. Cosa si può fare per migliorarlo?
Contrapporre il ruolo del governo a quello delle Regioni è sbagliato. È necessario definire con più precisione ruoli e funzioni. Servirebbe un punto di equili- brio tra il fondamentale ruolo di coordinamento del governo dello Stato centrale e l’azione insostituibile, sul campo, di Regioni e Comuni.
Lei è stato anche giudicato per il suo carattere. Come ha vissuto queste critiche?
Ho preso le distanze da parole o comportamenti che mettevano questioni strumentali e secondarie davanti al diritto alla salute. L’egoismo sociale mi indigna, anche spendere una vita per sconfiggere chi specula sulla paura dell’epidemia sarebbe meritevole. A me è capitato di poterlo fare in pochi mesi; ne sono orgoglioso e ringrazio chi me ne ha dato l’opportunità. Il mio carattere? Ci convivo da quando sono nato, ma è uno, è quello: senza sorprese. Preferisco le critiche alla doppia morale. Certo, qualcuno sperava fossi un oscuro burocrate chiuso in una stanza, impaurito di fronte a questo dramma. Si sbagliava.
La carenza di Dpi (dispositivi di protezione) all’inizio ha messo a nudo che l’Italia su alcuni settori è completamente dipendente dall’estero. Quali scelte di politica industriale andrebbero attuate?
La pandemia ha travolto, spero definitivamente, una pericolosa illusione. Il mercato, senza regole, non è in grado di garantire benessere e sicurezza. Lo strapotere della finanza speculativa è l’altra faccia del crollo degli investimenti e della crisi di interi settori industriali, se non di interi settori produttivi. Una produzione ritenuta marginale come quella dei dispositivi medici è stata frettolosamente abbandonata, ma in pochi mesi ci siamo 'inventati' una filiera industriale tenendo in considerazione aspetti come la tutela della salute, il rispetto del tempo, il bisogno di innovazione. In due mesi abbiamo riconvertito o ampliato 136 aziende per produrre dpi; abbiamo acquistato 51 macchinari per produrre mascherine, otto sono stati destinati in tre istituti carcerari – un progetto realizzato insieme al ministro Bonafede – dove 320 detenuti lavorano per fare fino a 600mila mascherine al giorno.
Anche sul fronte test sierologici, tamponi e reagenti le polemiche non sono mancate. Qualcuno ipotizza che ci si è mossi tardi.
Rispondo con i numeri: l’Italia è fra i grandi Paesi del mondo che hanno fatto più tamponi per abitante. E il trend è crescente. Dall’inizio dell’emergenza ne sono stati fatti 39.500 al giorno, a maggio 65mila, nelle prossime settimane 92mila. Per quanto riguarda i reagenti, in Italia ci sono 211 laboratori che usano prodotti o kit spesso differenti. Per trovarli, quando le Regioni ci hanno chiesto di farlo, abbiamo promosso una richiesta pubblica di offerta che si è chiusa molto positivamente. Ora stiamo consegnando loro oltre 10 milioni di reagenti e di kit per effettuare i test.
La campagna nazionale dei test sierologici non sembra avere grande successo. Perché gli italiani non si fidano?
C’è sì una componente di diffidenza e non ne comprendo il motivo. Sono stati contattati oltre 130mila cittadini e solo il 20% si è dichiarato indisponibile per motivi di lavoro. Il 35%, finora, ha detto sì. Sono stati presi oltre 43mila appuntamenti per il prelievo ed effettuati 23mila test.
L’app Immuni ha fatto sorgere qualche dubbio sulla privacy.
Scaricare l’app è un gesto di responsabilità e solidarietà. Tre milioni di italiani l’hanno già installata e ci aspettiamo una forte crescita nelle prossime settimane.
In questi giorni i ragazzi stanno svolgendo gli esami di maturità. Come sarà la ripresa della scuola a settembre?
D’intesa con il ministero della Pubblica istruzione abbiamo distribuito in tutte le scuole 5,3 milioni di mascherine per la maturità. E per settembre siamo pronti: se necessario, faremo fronte alla richiesta di fornire una mascherina a ogni studente, insegnante e altro personale. Stiamo parlando di 10 milioni di mascherine al giorno per tutte le scuole.
Si teme una seconda ondata di contagi in autunno. Come ci si sta preparando?
L’Italia è sicuramente più preparata rispetto all’inizio dell’epidemia. Conosciamo il nostro nemico di più e meglio rispetto a febbraio, anche se non l’abbiamo ancora sconfitto. Abbiamo un’offerta nazionale di apparecchiature e di dispositivi medici che a marzo non esisteva. Non solo: il governo ha stanziato 2 miliardi per rafforzare e modernizzare il sistema sanitario, cosa che il ministro Speranza sta già attuando.