Lotta al Covid-19. La ricerca italiana accelera, questo coronavirus fa meno paura
La ricerca va avanti
Il Sars-Cov-2 non è più un oggetto sconosciuto. Il mondo lo studia da mesi e l’Italia offre quotidianamente un contributo fondamentale alla ricerca. Oggi sappiamo, per esempio, che quando entra nel nostro organismo, quest’ospite può contare su affidabili alleati: "tempeste" e "cascate". Entrambe hanno a che fare con l’eccessiva risposta del nostro sistema immunitario al virus. Entrambe possono essere letali. Le "tempeste" sono quelle "citochiniche": in soldoni, l’infiammazione causata dal nostro stesso organismo che si attiva per difenderci e che invece finisce per metterci nei guai. È un’azione già nota ai ricercatori. Ciò che non era noto, invece, è che nei casi gravi è attivata la cosiddetta "cascata del complemento".
Così descrive il fenomeno Luigi Meroni, direttore del Laboratorio sperimentale di ricerche di Immunologia e reumatologia dell’Istituto Auxologico Italiano che, con il Policlinico universitario di Milano, è autore della scoperta pubblicata sul Journal of Allergy & Clinical Immunology: «Si tratta dell’attivazione a cascata di una serie di proteine»; procedura che, normalmente, «ha una funzione essenziale nelle difese dell’organismo da agenti infettivi e neoplasie». Ma che, in questo caso, «può scatenare fattori infiammatori e stimolare la coagulazione». Da qui il valore della ricerca: impedendo questo processo, si ottiene una potenziale terapia che, «agendo sia sull’infiammazione sia sulla coagulazione, può prevenire il danno polmonare e sistemico». La "cascata del complemento" era presente nei 31 pazienti gravi coinvolti nelle ricerche.
Lo studio, spiega il professor Massimo Cugno, dell’unità di Medicina generale, emostasi e trombosi del Policlinico, «ha offerto da un lato un nuovo strumento per la prognosi del Covid-19» e dall’altro le indicazioni «per l’uso di farmaci che bloccano il "complemento"». E che potranno consentire di selezionare le cure più efficaci da paziente a paziente.
A proposito di farmaci e risposta incontrollata del sistema immunitario: tra pochi giorni l’Aifa (Agenzia del farmaco) farà chiarezza sui dati preliminari di un protocollo nato a Napoli, che ha arruolato, da marzo, 4.000 pazienti, coinvolgendo 600 centri italiani, sull’utilizzo del farmaco Tocilizumab, normalmente usato per l’artrite reumatoide. Secondo Vincenzo Montesarchio, primario infettivologo e oncologo dell'Azienda ospedaliera specialistica dei Colli di Napoli (ospedali Monaldi, Cto e Cotugno), il farmaco «sta dando una risposta in circa il 70% dei pazienti trattati»; sono «fondamentali sia la tempistica in cui viene somministrato – ci sono maggiori possibilità di successo se utilizzato precocemente –, sia le caratteristiche cliniche dei malati».
Ma per vincere il Covid-19 occorre anche una diagnostica di precisione, in grado di leggere l’evolversi della patologia. Ci ha lavorato il Centro diagnostico italiano (Cdi), realizzando un’innovativa piattaforma, basata sull’intelligenza artificiale applicata all’imaging diagnostico, che permetterà di comprendere meglio «il decorso della malattia, migliorare il triage in ospedale e somministrare terapie personalizzate e tempestive». Il progetto coinvolge numerosi centri clinici e di ricerca. L’obiettivo è identificare, nei pazienti colpiti da Covid-19, sulla base di una radiografia toracica, il rischio di un peggioramento della situazione polmonare.
Saranno invece 48 i laboratori sparsi in tutta Italia "arruolati" nel "Progetto sierologia Covid-19" che valuta se la presenza di anticorpi protegge dalla reinfezione e per quanto tempo: una informazione fondamentale per comprendere che tipo di convivenza ci aspetta con il coronavirus, in attesa del vaccino. Il progetto si basa sul test sierologico sviluppato dall’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e dall’Università di Pavia e messo a disposizione di tutta la comunità scientifica.
«Il test – evidenziano gli autori – ha una sensibilità e specificità elevatissime e costi enormemente inferiori rispetto ai test commerciali».
Dall’inizio della pandemia, «abbiamo capito che la mappatura della diffusione del contagio e la ricerca dell’immunità sono i pilastri per arginare il virus in attesa del vaccino – dicono Pier Giuseppe Pelicci e Gioacchino Natoli, del dipartimento di Oncologia sperimentale Ieo –. Con l’Università di Pavia abbiamo riprodotto e validato il test per la ricerca di anticorpi dell’Ospedale Mount Sinai di New York, già approvato dalla Fda (l’ente regolatore Usa, ndr), per farne un test "aperto", non commerciale, economico, eseguibile da tutti i laboratori. Fino a quando non sarà chiaro se gli anticorpi presenti nel siero sono collegati alla protezione dalla reinfezione, le cosiddette "patenti di immunità" non avranno validità». Oggi, aggiunge Federico Forneris del Laboratorio Armenise-Harvard dell’Università di Pavia, «possiamo produrre su larga scala i reagenti per centinaia di migliaia di test in poco tempo e a costi contenuti».