Attualità

L'intervista. Vannucci: «La repressione non basta»

Antonio Maria Mira martedì 4 febbraio 2014
 «Quella della Commissione è una cri­tica molto forte ma è anche un’a­pertura di credito verso l’Italia: la legge anticorruzione, pur non sufficiente, le ini­ziative di prevenzione, ma soprattutto il fermen­to di un movimento dal basso con strumenti ap­prontati senza attendere una classe politica con­nivente o autoindulgente». È il com­mento di Alberto Vannucci, professo­re di Scienza politica all’Università di Pisa e tra i consulenti del Rapporto Ue. «Se usiamo come strumento di con­trasto soltanto la repressione, che ci deve essere perché la corruzione è un crimine – avverte –, non avremo ri­sultati duraturi perché si interviene troppo tardi, quando i reati sono già stati commessi e i costi della corru­zione spalmati sulla collettività». Così Vannucci, autore del primo 'Atlante della corruzione', ci­ta Papa Francesco. «Ha colto il nesso drammati­co tra un fallimento che è al tempo stesso mora­le e economico e il radicamento della corruzio­ne. La sua è una denuncia purissima che va al cuore del problema che non è un questione so­lo di leggi ma di morale, di inquinamento dell’a­nima, di perdita di dignità». Ma il fenomeno sociale della corruzione è per­cepito dagli italiani come un male? C’è un atteggiamento schizofrenico: da un lato la spinta a convivere con la corruzione perché ri­tenuta la via più conveniente, quasi naturale. Non la si percepisce quasi più come reato. Poi quan­do emerge lo scandalo c’è una reazione forte, ma passate le fiammate di indignazione scatta il rias­sorbimento. Dal Rapporto emerge che solo il 2% dei cittadi­ni e il 5% delle imprese ha avuto esperienza di­retta di tangenti, in linea con la media Ue. Quin­di l’eccezionalità italiana non c’è... La corruzione è talmente presente da risultare per certi versi inavvertita e la tangente non la ri­conosciamo più perché diventa tante altre cose: mancia, regalino, favore. Ma poi ne percepiamo gli effetti che si traduco­no nel degrado di ogni servizio, dalla sanità all’assistenza, dai tempi inter­minabili ai costi esponenziali delle o­pere pubbliche. E questa sì è un’ano­malia rispetto al resto d’Europa. Non si vede la corruzione ma gli effetti. Devastanti sulla vita quotidiana. È di­ventata parte della nostra normalità, ci sfugge le rilevazione empirica ma ne percepiamo i costi intollerabili che degrada­no la nostra vita civile e i servizi pubblici. Due e tre cose da fare, le più urgenti? Riformare prescrizione, conflitto di interessi, con­centrazione dei media, autoricicilaggio, scambio elettorale politico-mafioso, tutela di chi testimo­nia l’altrui corruzione. Ma non solo armi penali... Lo sottolinea anche la Commissione, ricor­dando tutta una serie di buone pratiche che na­scono dal basso, dalle esperienze di Avviso pub­blico a quelle di Libera, la campagna 'Riparte il futuro', società civile e tanti amministratori di buona volontà.