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L?islamologo. . «La radicalizzazione in carcere? Si può prevenire»

venerdì 29 aprile 2016
«Preoccupa la crescita di aspiranti jihadisti tra i marocchini e i tunisini, ma i percorsi per evitare e combattere le derive radicali sono possibili ». Frate Ignazio De Francesco, monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata fondata da Giuseppe Dossetti, è un islamologo. Da diversi anni collabora come volontario dell’Avoc nel carcere della Dozza di Bologna e nel 2014 ha riletto la Costituzione italiana coinvolgendo detenuti arabi e musulmani. «A Bologna circa un terzo dei detenuti è straniero, la maggior parte di religione musulmana » dice, ragionando sui numeri diffusi appena ieri dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, secondo cui sarebbero 11mila i detenuti provenienti da Paesi di religione islamica in Italia (su un totale di 18mila detenuti stranieri) 7-8mila dei quali praticanti. Non solo: 354 vengono considerati ad alto tasso di radicalizzazione islamica. «Mi sono chiesto: chi si prende cura di loro? Così ho cominciato facendo colloqui personali, avvantaggiato dal fatto di parlare arabo – racconta –. Ho visto progressivamente un’apertura da parte delle persone incontrate. La lettura della nostra Carta costituzionale ha appassionato marocchini, algerini, tunisini ». Un cammino che continua ancora adesso, con corsi di formazione che hanno l’obiettivo di avvicinare mondi a prima vista diversi. «La mia impressione su quanto sta accadendo? In questo momento la messa a fuoco soltanto di alcuni elementi non aiuta a capire l’islam, come cultura prima ancora che come religione. Innanzitutto, è la lingua la più grande chiave di relazione tra noi. Per prevenire, certo, possibili degenerazioni, ma anche per agire sul versante dell’integrazione. Il fenomeno del radicalismo può nascere in cella ma può pure spaccare intere famiglie fuori». Per quel che riguarda la figura dell’aspirante combattente, «l’esperienza mi dice che la vita di un detenuto può cambiare del tutto in una notte. Dobbiamo accompagnare queste persone, di solito piccola manovalanza del crimine. Vanno aiutati nei momenti di svolta, nei giri di boa che spesso rappresentano potenziali rischi di radicalizzazione, alimentati anche da desideri sbagliati di purificazione e da messaggi devastanti lanciati in Rete». Frate Ignazio delinea con chiarezza la necessità di «una mediazione culturale alta. Servono giovani italiani preparati, così come giovani arabisti. Dobbiamo chiarire bene qual è la posta in gioco: i più pericolosi tra i cosiddetti terroristi sono quelli che vengono da contesti non arabi, perché possono unire un’ignoranza profonda della religione all’assolutizzazione di pochi concetti ripetuti in modo ossessivo». Diego Motta © RIPRODUZIONE RISERVATA