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Milano. La Pm antimafia Dolci: «Più controlli e accessi diretti nei cantieri olimpici»

Simone Marcer lunedì 3 giugno 2024

La coordinatrice della Dda di Milano Alessandra Dolci

«Meglio un brutto accordo di una guerra bellissima». Perché: «La pace è buona per tutti, la guerra porta solo disgrazie».
Sono di due ‘ndraghetisti intercettati queste perle di saggezza. Ma a rileggerle non c’è niente di rassicurante: significa che la scelta del basso profilo paga, in termini di successo e accettazione sociale. Dagli anni Duemila ad oggi le mafie si sono trasformate da holding criminale ad operatori economici che offrono servizi, in grado di accaparrarsi e sfruttare al meglio i contributi pubblici, tra le altre cose. Alessandra Dolci, a capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano spiega come la criminalità organizzata ha mutato pelle.

Qual è la caratteristica della criminalità mafiosa oggi?
C’è un’assoluta e totale accentuazione della dimensione economica delle mafie nel Nord Italia. Tante imprese mafiose o contigue alla criminalità mafiosa, soprattutto calabrese, che hanno adottato modelli comportamentali tipici della criminalità economica. Con reati quindi che vanno dalla violazione della normativa fiscale e societaria, dalla bancarotta per distrazione – e quindi le società a partecipazione mafiosa vengono usate anche come bancomat - alle cosiddette bancarotte fiscali, e quindi parliamo di imprese che hanno avuto una durata temporale di due o tre anni, nella quale, gestendo manodopera, hanno omesso qualunque tipo di versamento di contributi e imposte.

I serbatoi di braccia.
Ecco. Il tema che in questo momento oggetto di nostra attenzione è il sistema cooperativistico e la sua strumentalizzazione. Perché questo sistema si sposa con un modello relativamente recente di organizzazione della produzione da parte delle imprese medio-grandi, ovvero con la cosiddetta esternalizzazione dei servizi, soprattutto di bassa manovalanza. Nelle indagini riscontriamo appalti affidati a consorzi di cooperative, consorzi che in realtà sono scatole vuote con uno o due dipendenti, che hanno dietro gruppi di cooperative, le quali sono meri contenitori di manodopera con durata temporale molto limitata. Giusto il tempo di sfuggire agli accertamenti dell’ispettorato del lavoro e delle agenzie di contrasto all’evasione fiscale. Quindi si ha una massa di lavoratori ai quali non vengono versati i contributi previdenziali, che spesso sono vittime di caporalato, le cui prestazioni vengono messe a disposizione di imprese medio-grandi, che se ne avvantaggiano, potendo usufruire di una maggiore flessibilità del processo produttivo e soprattutto abbattendo i costi della manodopera. Imprese che possono così usufruire di prestazioni a prezzo bassissimo. Di questo sistema si avvantaggia ovviamente anche chi gestisce il consorzio di cooperative, che non paga il dovuto al lavoratore.

Entrambi ci guadagnano quindi: ‘ndranghetista e imprenditore colluso o compiacente.
Il risultato finale sono un mercato drogato, una concorrenza falsata, un danno per l’erario e per i lavoratori, con i contributi non versati. Sempre più di frequente nelle nostre indagini adottiamo la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria. Interveniamo sull’impresa committente per far sì che adotti un modello organizzativo adeguato a far fronte ai rischi di infiltrazioni. Quindi le chiediamo di dotarsi di regole adeguate sul ciclo passivo, uno screening delle imprese fornitrici sotto il profilo della capacità economica, reputazionale e della correttezza fiscale (devono essere richiesti il documento unico di regolarità fiscale e quello di regolarità contributiva) L’impresa committente non può giustificarsi dicendo: non posso sapere se il consorzio, la cooperativa a cui ho affidato il servizio, paga le imposte e i contributi ai lavoratori. Quanto al fenomeno delle bancarotte fiscali, dietro le quali possono celarsi gli interessi della criminalità organizzata, abbiamo stipulato dei protocolli con le sezioni fallimentari del distretto, coinvolgendo anche i curatori, per avere una forma di monitoraggio, indicando una serie di alert che possono esserci segnalati.

«Non posso giustificarmi dicendo di non sapere a chi affido un servizio». Ciò che ha detto per il privato a maggior ragione dovrà valere per il pubblico. Nell’inchiesta sul centro comunale Sant’Ambrogio, sarebbe emerso che i campi di padel alla Barona erano costruiti da Marco Molluso, nipote del boss Giosafatto del clan omonimo di Platì trapiantato a Buccinasco. Nella recente inchiesta sulle presunte infiltrazioni mafiose nel mercato comunale milanese di Isola sono state sequestrate quattro società che gestivano i locali di ristorazione.
Gestire esercizi pubblici, centri sportivi, è un sistema utile alla criminalità organizzata per ampliare la sua rete relazionale; più ancora che per riciclare denaro. Gli serve per legittimarsi socialmente, accreditarsi come normale operatore economico, per mostrare la faccia buona. La riserva di violenza comunque rimane intatta, pronta a mostrarsi nei momenti di difficoltà. Mi viene in mente la vicenda di tanti anni fa del centro sportivo comunale "Iseo" controllato dalla cosca dei Flachi e poi incendiato. A questo proposito evidenzio che anche dopo il nostro intervento al centro sportivo della Barona ci sono astati una serie di atti di danneggiamento. E anche dopo il nostro intervento al centro sportivo con i campi di padel della Barona c’è stata una serie di atti di danneggiamento.
Ma un tema di riflessione è: come mai strutture che fanno capo a un ente territoriale possono finire nelle mani di famiglie di ‘ndrangheta. Forse il sistema dei controlli non funziona. Abbiamo un bellissimo sistema di controlli antimafia in cui hanno un ruolo centrale le prefetture. Ma se gli accertamenti poi sono meramente documentali, non troverò mai niente, perché la documentazione è sempre impeccabile. Il mafioso sa perfettamente che non può intestare un’azienda a se stesso, alla moglie o al figlio. Il reato che contestiamo più frequentemente è proprio il 512bis, cioè l’intestazione fittizia di beni. Quindi abbiamo imprese le cui quote sociali sono intestate a prestanome, amministrate da soggetti che “mettono qualche firma” in cambio di 500-1000 euro al mese. E allora come disvelare l’arcano? Attraverso le investigazioni e, nel caso di opere pubbliche, intensificando l’accesso ai cantieri, andando a vedere di chi sono i camion che entrano ed escono, da che società dipendono.

Il modello Expo. Se ne è parlato per due lustri. Lo si è decantato. Lei stessa, in audizione in commissione comunale due anni fa ha chiesto che venisse applicato per le olimpiadi a Milano.
Ritengo che quella di Expo sia stata un’esperienza virtuosa. I controlli hanno funzionato. Ci sono state tantissime interdittive. Avrei preferito ripercorrere quella strada.

Invece per Milano Cortina si è scelta una strada diversa: una convenzione di tipo privato tra comune e società concessionarie che gestiscono i lavori del villaggio olimpico a Scalo Romana (Coima, Convivio e Prada Holding) e dell’Arena di Santa Giulia (Cts Eventim). Con i controlli affidati a una struttura centralizzata presso il ministero.
Ci sono differenze rispetto a Expo: Milano-Cortina non riguarda soltanto il contesto territoriale milanese, ma anche altre regioni. Le strutture sono realizzate da privati e c’è una convenzione di tipo privato, ma che non prevede l’accesso diretto da controllo ai cantieri da parte della prefettura. Gli accessi sono stati fatti, ma da parte del gruppo che si occupa di sicurezza sul lavoro e dell’emersione del lavoro sommerso. Si è detto che erano investimenti soprattutto di carattere privato, ma così non è, sia per l’intervento pubblico per le opere essenziali, sia per gli extra costi, per i quali è stato chiesto un intervento pubblico. Mi sembra quindi che ci sia un ulteriore pregnante interesse pubblico a eseguire dei controlli efficaci.

La corsa all’accaparramento dei fondi del Pnrr.
Dopo il Covid c’è stata una forte iniezione di liquidità per riavviare l’economia. È stata una grossa occasione per la criminalità, anche mafiosa, di trarne profitto. Sono state create una serie di società, in realtà scatole vuote che, producendo falsa documentazione, sono riuscite ad accedere a questi finanziamenti. Bonus facciate, ecobonus al 110%. Altre imprese in odore di mafia si sono occupate della creazione di fittizi crediti d’imposta che hanno immesso sul mercato.

Cessione di crediti d’imposta, superbonus, cooperative spurie, cartolarizzazioni, intestazioni fittizie, false fatture... A momenti dimenticavamo la droga.
Per quanto si siano evolute le mafie, per quanto gli ‘ndraghetisti si siano infiltrati nell’economia e nella società, la droga c’è sempre e rimane la principale fonte di finanziamento da reinvestire nell’economia “legale”.

Le virgolette le lasciamo?
Lasciamole.