Attualità

Le finalità. La nuova impresa sociale «capitale» per lo sviluppo

ANDREA DI TURI giovedì 26 maggio 2016
Due le premesse da fare. La prima è che nessuna legge, da sola, può incidere se non riesce a stimolare o almeno ad accompagnare un cambiamento culturale, che è il vero motore di ogni trasformazione. La seconda è che la partita della riforma del Terzo settore non è chiusa, perché com’è noto quella approvata ieri alla Camera è una legge delega e spetterà dunque ai decreti delegati mettere davvero 'i puntini sulle i' per indicare le direzioni lungo le quali il mondo del non profit sarà chiamato a svilupparsi in futuro. Ciò detto, pare piuttosto chiaro l’intento della norma di provare ad accelerare l’evoluzione del Terzo settore da ciò che è stato finora a ciò che ancora non è, ma che tutti sostanzialmente auspicano che diventi il più presto possibile: una potente, oliata, efficace infrastruttura al servizio della tenuta della coesione sociale nel nostro Paese e capace di indirizzare lo sviluppo economico dell’Italia su sentieri caratterizzati da maggiore inclusività, equità, sostenibilità. Le imprese ibride.  Un perno fondamentale intorno a cui si è articolata l’intenzione del legislatore è costituito dal concetto di ibridazione. La riforma intende dare alle organizzazioni del Terzo settore, e in particolare alle imprese sociali, che in prospettiva sono la realtà più capace di veicolare quel concetto, la possibilità di mutuare modalità, regole, strumenti del mondo for profit, ovviamente della sua parte più sana e responsabile, in un certo senso facendosene contaminare. L’obiettivo è permettere alle imprese sociali di moltiplicarsi (l’attuale legge 155/2006 sull’impresa sociale non ha centrato tale obiettivo), crescere anche dimensionalmente, sviluppare una biodiversità di forme giuridiche – non solo cooperative sociali, realtà di cui ci facciamo vanto nel mondo, ma che rimane la forma quasi esclusiva di impresa sociale in Italia – incidere ancora di più sul tessuto economico e produttivo, fino ad arrivare a loro volta a contaminare le imprese profit quanto a senso e finalità ultime dell’agire imprenditoriale. Per farlo si è puntato ad esempio a liberare l’impresa sociale da una serie di previsioni della 155 che hanno rappresentato, esperienza alla mano, dei limiti al suo sviluppo. La grande novità è quella della possibilità di remunerazione del capitale sociale delle imprese sociali, pur con limiti precisi: ciò dovrebbe rendere almeno un po’ più agevole la strada all’arrivo di risorse finanziarie fresche, specie provenienti da quegli investitori cosiddetti 'pazienti', che operano su orizzonti di lungo periodo non speculativi e con finalità anche sociali. In questo senso va anche la previsione di allargare i possibili settori di attività dell’impresa sociale, per metterla in condizione di proporre il suo modello anche in campi diversi da quelli suoi tradizionali e comunque definiti nella vecchia norma. Lo stimolo all’ibridazione è poi evidente nella revisione della governance dell’impresa sociale, dove si prevede che anche imprese private e amministrazioni pubbliche possano assumere cariche negli consigli delle imprese sociali. La semplificazione delle norme. Un altro perno basilare del progetto di riforma risiede nella volontà di semplificare e snellire la norma- tiva, compresa ovviamente quella tributaria, che negli anni si è stratificata in riferimento alle tante e variegate realtà del Terzo settore. Emblematica a questo proposito si può considerare la previsione di istituire il Registro unico nazionale del Terzo settore, in capo al ministero del Lavoro, con cui si intende razionalizzare l’intero sistema di registrazione degli enti non profit. Ma a questo riguardo è significativa anche, nell’ambito della revisione della disciplina in materia di volontariato, l’istituzione di un Consiglio nazionale del Terzo settore, che possa fungere da organo di consultazione degli enti a livello nazionale. La misurazione dell’impatto. Trasversale a varie aree dell’impianto di riforma è poi il concetto dell’impatto sociale delle attività del Terzo settore. Se ne parla, in particolare, in relazione alla cosiddetta 'Iri del sociale', la Fondazione Italia Sociale che secondo la legge delega sarà destinata, mobilitando risorse pubbliche (inizialmente un milione di euro) ma a regime soprattutto private, a sostenere interventi particolarmente innovativi da parte degli enti di Terzo settore. Interventi nei quali, appunto, sarà fondamentale misurare e valutare il reale impatto che un’attività, un ente, un’iniziativa riescono a produrre a beneficio della comunità che ne è interessata. Più che un concetto, quello della misurazione dell’impatto sociale che si riesce a produrre è quasi una filosofia con cui tutto il Terzo settore sarà sempre più chiamato a confrontarsi, anche nell’ottica dell’attrazione di risorse, e per larga parte di esso rappresenta un cambiamento epocale. La riforma votata ieri è un potente stimolo anche in questa direzione.