Si avvicina a stringere le mani in segno di conforto, il volto di monsignor Giuseppe Molinari è stanco per la notte passata in tenda, ma lui è in mezzo a loro a portare preghiere e speranza. Il campo di Piazza D’Armi, quello di Acquasanta, poi Bazzano, Paganica, Onna; li visita uno ad uno l’arcivescovo dell’Aquila. Vuole essere lì perché «è importante continuare a credere e sperare insieme, soprattutto in questo momento, quando la fede è più difficile». I momenti di preghiera nascono spontanei tra le tende, anche perché di chiese a L’Aquila ne sono rimaste ben poche in piedi, e poi gli sfollati hanno bisogno di sperare: «Per il Venerdì Santo – prosegue Molinari – intendiamo celebrare il funerale collettivo delle nostre vittime. Attendiamo in queste ore la conferma di Bertolaso ». L’arcivescovo e i sacerdoti distribuiscono parole e gesti di solidarietà perché agli sfollati non resta che aver fede. Sfollati, in fondo, sono pure l’arcivescovo e i sacerdoti della Curia: anche per loro la tenda è diventata una casa. È un dolore composto quello che si percepisce nei campi. «Ho visto una dignità grandissima in questa tragedia», continua Molinari, forse perché non ci sono più lacrime da versare. Non serve ora dare colpe, insiste il presule, serve «salvare più persone possibili dalle macerie e aiutare i superstiti, visto che a loro manca tutto». L’unica soluzione per uscirne è la solidarietà. «Stiamo ricevendo sostegno e aiuti dai vescovi e dalla parrocchie di tutta Italia e sono sicuro che questa catena di amore cristiano continuerà in futuro. Adesso stiamo portando la croce – conclude – ma come nel Vangelo di Giovanni ci auguriamo di passare presto dalla morte alla vita». Uno sfollato tra gli sfollati. Tre tendoni sull’erba, sdraio come letti e piegate ordinatamente ai piedi le coperte. Il giardino di Gabriella, la sorella dell’arcivescovo dell’Aquila è diventato la dimora dei sacerdoti e dello stesso presule. Un campo improvvisato in giardino, cinque preti in una tenda, tre suore e una laica nell’altra. La prima notte dopo il sisma è passata così, sotto la pioggia battente e con una temperatura di quattro gradi. «Ho dormito poco o niente come tutti - ha raccontato don Lucio Antonucci - sono ancora con il pigiama e il cappotto come sono scappato dall’episcopio l’altra notte. Il freddo è stato parecchio, anche se avevamo molte coperte». Don Vittorio Narducci non se la sente di parlare; ha il volto ferito dai calcinacci e un vistoso cerotto sulla fronte. È ancora molto scossa anche suor Teresa, una delle suore dell’episcopato. «La mia più grande preoccupazione è stata quando ho visto l’alloggio dell’arcive- scovo distrutto; per fortuna lui non era nelle sue stanze, qualche minuto prima del terremoto era sceso al piano di sotto perché non si sentiva bene». Vivo per miracolo sostiene suor Teresa. A confermarlo anche i primi sopralluoghi nella Curia e lo stesso monsignor Mo-linari: la campana del Duomo è caduta proprio sull’appartamento dell’arcivescovo. Ma lui non vuole parlarne. Preferisce continuare la sua Via crucis nei luoghi della disperazione. Due volte in un giorno nella Scuola della Finanza di Coppito dove allineate ci sono le oltre duecento salme. Un silenzio quasi surreale, interrotto di tanto in tanto dai singhiozzi di genitori e figli che piangono i propri cari. «Ho benedetto le salme e incontrato i parenti delle vittime - racconta l’arcivescovo - , li conosco quasi tutti, è uno strazio enorme. Io prometto tante preghiere e cerco di offrire tutta la solidarietà possibile perché anch’io in questo momento mi sento limitato e povero come gli altri». Tra loro anche suor Anna della casa famiglia Immacolata Concezione. Ma i sacerdoti ora che la terra continua incessantemente a tremare non elargiscono solo parole di amore. È rimasto senza casa e chiesa, ma non ha perso la voglia di stare accanto ai suoi fedeli e a chi soffre don Massimiliano De Simone: cappellano del carcere dell’Aquila e parroco di Civitatomassa, a dieci chilometri dal capoluogo, è anche volontario della Croce Verde e nel primo giorno dopo il sisma si è messo a disposizione. «Ho guidato l’ambulanza del 118 fino a tarda sera - racconta - . Abbiamo recuperato feriti e vittime nella casa dello studente e partecipato all’evacuazione dell’Ospedale». Come lui Don Ramon Mangili, della parrocchia di Pile, è costantemente al telefono per far arrivare ai suoi trecento parrocchiani acqua, cibo e bagni chimici. «Ci sono bambini e anziani che hanno bisogno di viveri e medicine - spiega - e molti di loro sono ancora in pigiama da due notti fa». Sarà una Pasqua senza chiese a L’Aquila, ma non senza preghiera. Per ora la Curia ha sospeso tutte le celebrazioni per la settimana Santa, tranne quella della Domenica di Pasqua che verrà celebrata tra gli sfollati, forse nel campo di Piazza D’Armi «sempre che la Protezione Civile dia il suo permesso» precisato Don Daniele Epicoco. Nell’immenso obitorio en plein air della Scuola della Finanza si dovrebbero celebrerare venerdì i funerali dei duecento morti. Ai sacerdoti dell’Aquila infine verranno donati gli oli crismali che il Papa benedirà domani, durante la celebrazione mattutina del Giovedì Santo.