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Le ricerche. La missione impossibile dei sommozzatori al piano -9. Trovati due corpi

giovedì 11 aprile 2024

Uno dei sommozzatori prima dell'immersione nel ventre della centrale di Suviana

Un corpo, al piano -9, poi un altro. E altri due ancora da trovare. La speranza sbiadisce dopo una notte convulsa di ricerche e di disperazione per i familiari arrivati alla centrale idroelettrica di Bargi (Bologna), nel bacino di Suviana, dove martedì pomeriggio è esploso un alternatore, investendo le esistenze di 12 operai che stavano lavorando al collaudo dei lavori. Tre sono morti, cinque sono feriti ma si sono salvati, di quattro non c'era traccia fino a poco fa. Le operaizoni sono di fatto ricominciate ieri sera alle 20, quando sono state ripristinate le condizioni minime di sicurezza per poter lavorare, ma la situazione rimane ancora molto complicata perché i piani interessati - i meno 8, 9 e 10 - sono ancora con oltre un metro d'acqua, pieni di macerie provocate dall'esplosione e di pezzi di cemento armato. Si va avanti senza sosta con il lavoro dei sommozzatori, con l'aiuto di droni acquatici e idrovore.

La sensazione è la stessa di chi è entrato nei ponti sommersi della Costa Concordia, quando l'inchino di Francesco Schettino portò la nave da crociera a naufragare davanti al Giglio: il silenzio, il buio, lo sciabordio lento dell'acqua, le mani che tastano alla ricerca di un corpo, la paura e la consapevolezza che se la nave si fosse capovolta non ci sarebbe stata via d'uscita. Nel ventre della centrale elettrica di Suviana, i vigili del fuoco che stanno cercando i quattro operai dispersi dopo l'esplosione stanno operando in condizioni simili a quelle di 12 anni fa, uno degli interventi più difficili per questi uomini che sono professionisti del soccorso e che ogni volta che scendono in campo sono costretti a vedere e vivere situazioni che difficilmente poi li abbandoneranno.

Francesco Boaria è uno di loro. È il caporeparto del nucleo dei sommozzatori di Vicenza. È entrato nel 2012 nella pancia della Concordia e oggi nel ventre della centrale di Suviana. «L'istinto, quando scendi laggiù, è quello di lasciare tutto e andare via, lo stesso provato quando salvammo il commissario di bordo della Costa Manrico Giampedroni - racconta -, Sono posti dove non vorresti mai essere e si opera in situazioni sempre al limite. Ma l'esperienza che abbiamo ci consente di concentrarci su quello che dobbiamo fare». Come? «Mantenendo i nervi saldi». Che è più facile a dirsi che a farsi.

La centrale ha dieci piani sottoterra, cinque dei quali sono sotto il livello dell'acqua. Il piano -9 è completamente sommerso e invaso dalle macerie; al -8, invece, ci sono i detriti del solaio crollato dopo l'esplosione e l'acqua ha già superato il metro e continua a salire. La visibilità è zero. La superficie dell'acqua è cosparsa di olio. Ma il problema vero non è questo. Almeno, non è solo questo. Perché finché non si trova il punto da cui entra l'acqua non è possibile operare in sicurezza. Troppo alto il rischio, anche per questi uomini che davanti al pericolo mai si tirano indietro. In meno di un minuto l'acqua saturerebbe ogni ambiente fino al piano -5, quello che si trova sopra il livello del lago e dunque in sicurezza. "Dobbiamo valutare bene il rischio da correre rispetto al risultato da ottenere" conferma il sommozzatore.

Per questo il lavoro sta procedendo su due direttrici: all'interno e all'esterno della centrale. Dentro, al piano -9, spiega Boaria, «stiamo operando con dei veicoli filoguidati, i cosiddetti Rov» dei robot che consentono all'operatore che li comanda di avere una visione completa dell'area di ricerca senza rischiare la vita. Fuori, invece, una squadra di sommozzatori «sta visionando una grata d'accesso alle paratie per capire se è da lì che entra l'acqua». L'arrivo delle idrovore, inoltre, dovrebbe consentire di pompare fuori l'acqua una volta individuata e bloccata la falla. Si stanno dunque valutando tutti i possibili scenari e rimodulando l'intervento operativo di soccorso per far sì che siano sempre garantite ai sommozzatori e ai vigili del fuoco delle vie di fuga. «L'addestramento ci consente di arrivare al punto che l'andare sott'acqua non sia un pericolo - ragiona ancora Boaria - il problema è quello che devi fare sott'acqua». Una cosa da nulla: immergersi nel silenzio e nel buio, con la consapevolezza che potresti non tornare su, cercando con le mani degli operai morti di lavoro.