Famiglia. La maternità è ancora “cool”. Forse in crisi è l'amore di coppia
La maternità è cool? Cioè è alla moda, affascinante, di tendenza? Negli ultimi tempi se ne è parlato molto, dopo che la parlamentare di FdI Lavinia Mennuni ha indicato la necessità per le madri di ricordare alle figlie che la loro «prima aspirazione deve essere quella di essere mamma» e anche di fare in modo che «la maternità torni a diventare cool». Parole che naturalmente hanno scatenato polemiche, ma dalle quali è scaturito anche un interessante dibattito, un confronto che “Avvenire” ha proposto dando voce a giovani donne, ragazzi, esponenti della politica, responsabili di associazioni cattoliche, esperte ed esperti di psicologia, sociologia, demografia.
Il quadro che ne è emerso descrive bene la difficoltà di un’aspirazione ideale a declinarsi in un contesto in cui la libertà di scelta deve fare i conti con la complessità, e l’ampiezza di orizzonti e di possibilità, che caratterizza il mondo contemporaneo. Il motivo per cui la questione iniziale, per come era stata posta, merita un ulteriore approfondimento riguarda la verifica della maternità come tendenza cool. Se ci si pensa bene, infatti, la maternità oggi non è meno in voga di un tempo, lo è soltanto in modo diverso: non si caratterizza più come una “moda” condivisa o di massa, ma assomiglia piuttosto a un prodotto “alto di gamma”, un lusso ambìto, anche se non da tutte perché il mercato offre molte opzioni.
Nel racconto pubblico essere madre si manifesta ancora come qualcosa di molto importante. Lo dimostrano i racconti di tante ragazze, come quelle cui abbiamo dato voce su queste pagine, ma anche le molte occasioni in cui i figli arrivano a rappresentare una sorta di status symbol che certifica il compimento di un successo totalmente individuale. Questo avviene anche perché nel tempo è andata definendosi una forma di povertà legata alla difficoltà di essere genitore nelle società moderne, si tratti di stabilità economica o di miseria affettiva, e soprattutto in contesti poco accoglienti in fatto di politiche pubbliche per le famiglie. Molte delle tensioni che si registrano nel parlare di “madri sì o no” derivano purtroppo anche dal residuo di questo particolare travaglio, non privo di ferite.
La vera questione, allora, non è chiedersi se sia cool la maternità, ma quanto lo siano altri ambiti. Di certo non è mai stato così poco alla moda l’essere padri. Insistere esclusivamente sul tema della maternità, in un senso come nell’altro, significa scaricare sulle donne il peso e la responsabilità della nascita o meno di un/a figlio/a. Un vizio tipico dei molti ancora affascinati dall’idea che il maschio debba occuparsi fondamentalmente solo di portare a casa il pane, ma anche di chi, dal fronte opposto, vorrebbe collegare la conquista dell’emancipazione alla prospettiva di non dover mai dipendere o di non doversi prendere cura di nessuno. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno.
La carenza di padri, di giovani che imparano a esserlo perché nella vita incontrano testimoni autorevoli di questo ruolo, o che desiderano essere genitori, compagni affidabili, mariti fedeli, è un aspetto poco esplorato nella crisi delle nascite e quanto alla “scelta” di non essere madri. Allo stesso modo la dialettica tra emancipazione e libertà può essere vista come la conseguenza di un’altra crisi, quella dell’idea di coppia stabile, di famiglia: una “situazione”, questa sì, decisamente poco di moda oggigiorno. Non è la maternità a non essere cool, insomma, ma la prospettiva di una relazione generativa tra due persone che si vogliono bene, e che per questo sono disposte entrambe a compiere delle rinunce per la felicità dell’altro e a dare vita insieme a qualcosa di molto più grande.
Si potrebbe dire che a non essere granché di tendenza è piuttosto l’amore, quello che vuole guardare lontano sin dall’inizio, e che si alimenta di una dinamica liberatoria, non consolatoria. Non è difficile stare insieme per farsi compagnia, il problema è che questo tipo di relazione non dura e difficilmente si apre ad altro. È la condizione naturale di una società in cui l’individualismo ha avuto la meglio. Ma non serve prodursi in lamentazioni o immaginare improbabili rivoluzioni culturali: con questa cultura ci si deve fare i conti, ed è da qui che si può partire per offrire e suggerire prospettive ancora più affascinanti. In questo senso può essere più importante domandarsi quale sia la narrazione sui figli nella quale siamo immersi, che non interrogarsi su cosa sia di moda tra i giovani.
Sono anni che si dice che ad avere figli si diventa poveri, che i figli fanno perdere il lavoro alle madri, che le donne con figli non fanno più carriera, che il compito della cura ricade solo sulle madri, che i figli non danno la felicità, anzi, e che senza figli ci si può realizzare meglio... Tutte cose in gran parte vere, il problema è che manca l’altra parte del racconto. Ad esempio, che molte persone dopo aver avuto figli hanno scoperto la differenza tra una vita felice e una vita ricca di senso, anche se questo ovviamente non lo si comprende solo nella condizione di genitori, ma la via familiare resta una buona strada. Oppure che i ripensamenti tardivi possono essere molto più dolorosi rispetto alle fatiche di una madre o un padre.
È importante che una società riesca a rimuovere tutti gli ostacoli che oggi si frappongono tra il desiderio di dare vita a una famiglia e la possibilità di realizzarlo, ma perché questo avvenga è necessario avere ancora qualcuno che senta il bisogno di rivendicare questo diritto. Altrimenti si tratta solo di una resa chiamata con un altro nome. Se la scelta di avere o non avere figli, anche a prescindere da una relazione solida, è venduta sempre come del tutto equivalente, anzi, con l’idea che la prospettiva no-kids, o di una genitorialità solitaria, sia vantaggiosa, premiante e più appagante, chi sarà pronto a combattere per una società più giusta nei confronti dei genitori? Il tema di fondo è la libertà di scelta. Ma quanto è libera una scelta se maturata in un contesto di narrazione alterata e in una società in cui le opportunità non si equivalgono?
In questo senso, parlare solo di donne e maternità rischia di portare tutte e tutti su un terreno molto scivoloso. Sarebbe importante provare a raccontare che due persone che si vogliono bene e sono pronte ad accogliere figli partono insieme per il più lungo, faticoso e impegnativo dei trekking, un percorso tosto, nel quale però si incontrano paesaggi meravigliosi e viste spettacolari, si possono scorgere albe e tramonti emozionanti, e dove gli unici veri limiti da rispettare sono i bordi di un sentiero nel quale si deve camminare sempre e soltanto insieme.
È difficile, ok, ma in un’epoca in cui tanti sono alla ricerca di grandi sfide o di imprese epocali per riempire il tempo libero di viaggi, vie, scalate e lunghi cammini alla ricerca della felicità, non serve scomodare il poeta francese dell’800, Charles Péguy, quando affermava che «il solo avventuriero del mondo moderno è il padre di famiglia», dato che in fondo era di parte. Basterebbe provare a dire che c’è anche una strada molto bella, antica, poco pubblicizzata, ma che vale ancora la pena di essere affrontata. La si potrebbe chiamare “Alta via dell’amore”. Non ci sono guide, e questo la rende molto poco cool, ma proprio per questo ancora più affascinante. Poi il resto, in genere, viene da sé.