Attualità

L'intervento. «Maternità e femminismo: dove abbiamo sbagliato?»

Sandra Morano sabato 13 maggio 2023

Una mamma in attesa con il primogenito

In seguito alle polemiche mediatiche nate dalla richiesta di registrazione automatica degli atti di nascita dei bambini nati all'estero da maternità surrogata, il clima è tornato ad infiammarsi quasi come un paio di anni fa in occasione della discussione sul Dddl Zan.

In comune i due momenti hanno come obiettivo nascosto la capacità esclusiva delle donne di procreare. E noi, in quanto donne, di questo, di maternità vogliamo parlare, ma non partendo da bambini a cui dare o negare diritti.

Non siamo certo insensibili al loro destino: siamo, e non da ora, fortemente indignate perché il nostro paese è pieno di bambini a cui i diritti vengono negati o alla nascita (fino alla maggiore età) o all’arrivo da altri paesi, se sono fortunati da sopravvivere all’odissea.

Ci chiediamo perché sembra così difficile discutere di maternità mentre appare naturale mettere in primo piano i diritti dei bambini. Ma non tutti i diritti, e non per tutti, altrimenti non esisterebbe qua e là sofferenza, indigenza, morte perinatale e infantile.

Andiamo al cuore del problema, e il problema sta proprio in questa difficoltà a parlare di maternità: che la rifiutiamo, che la scegliamo o la subiamo, ancora non siamo riuscite a darle un significato che ci appartenga. Tutto si aggiorna, tutto cambia, perfino le desinenze; tutto si adegua al mercato, al diritto, ecc, ma questa parola sta ancora lì ad impaurire le pronipoti di Sibilla Aleramo, della Nora di Casa di Bambola di Ibsen, e delle tante altre donne eternamente “al bivio” tra procreazione e libertà.

Oggi si ritorna a parlare di maternità, e non a caso, per l’incombere dello spettro dell’inverno demografico. Ma non illudiamoci, non aspettiamoci dalla politica risposte alte per risolvere il conflitto tra noi e il nostro corpo, da tempo messo in luce dal femminismo.

L’esperienza di maternità, questa finestra che ci apre e ci trasforma, che lega per sempre la nostra ad altre vite, togliendo e moltiplicando, sta per declinare senza essere stata da noi stesse nel frattempo pienamente elaborata. In uno scenario in cui parte del processo procreativo è stato già trasferito e spezzettato in laboratorio, e in cui l’utero artificiale è già una realtà avanzata, l’impresa più difficile appare quella di diffondere tra le donne una diversa visione del potere di procreare oggi, e di come potrebbe essere in futuro: sicuramente non più una condanna, probabilmente una fonte di libertà. Da questo disconoscimento reale e simbolico è nata la separazione e l’attuale estraneità al nostro corpo, come premoniva Barbara Duden (I geni in testa e il feto in grembo): un corpo “che non ci appartiene” , al punto che tutto ciò che riguarda il parto e la nascita viene demandato ai tecnici (“addormentatemi, e che se ne occupi il medico”, Adrienne Rich, Nato di donna).

Ci chiediamo, come donne e femministe, che cosa abbiamo (o non abbiamo) fatto in questi decenni per non essere riuscite a preservare, e a trasmettere, la saggezza, l’amore per il mondo che le nostre genealogie avevano accumulato per noi. Per non aver saputo ancora, come mediche e specialiste, far dialogare la tecnoscienza con i vissuti e con le leggi di quell’universo bio-fisiologico, endocrinologico, ostetrico, emotivo, così complesso e così ricco, in cui è scritta la nostra differenza.

D’altronde anche il mondo femminista, che annovera oramai molte anime, appare variegato, confuso da una posta in gioco che si prospetta la peggiore di tutti i tempi, perché il nemico da temere stavolta non è l’altro sesso ma l’aspirazione al superamento dei sessi. Il clima sembra essere il meno favorevole alla riflessione che auspichiamo, ma questo tempo richiede come non mai che la maternità e la nascita ritornino alle donne attraverso l’esperienza delle donne, una esperienza “che non è da tutti”

Ginecologa, Università degli studi di Genova, Saggista