Il progetto. La matematica? Un gioco di incastri (con i mattoncini Lego)
Un bambino impara la matematica con il progetto Matabi
Imparare la matematica un mattoncino alla volta. È l'approccio alla materia di Matabi, progetto promosso da Exor e realizzato da Fondazione Agnelli in collaborazione con il Politecnico di Torino e il supporto di The Lego Foundation, presentato questa mattina alla scuola Quarati di Napoli, da John Elkann, Ceo di Exor e presidente della Fondazione Agnelli. Puntando sulla componente gioco, Matabi è un progetto di didattica innovativa per migliorare l'apprendimento della matematica, attraverso l'utilizzo dei mattoncini Lego e ridurre i divari di genere, a partire dalla scuola primaria, in particolare le classi terza e quarta. Al momento, Matabi è attivato in 88 classi di diverse città italiane, di cui trenta nell'area metropolitana di Napoli, ma l'obiettivo dei promotori è diffonderlo nel maggior numero possibile di scuole del Paese.
«C'è tanto talento e tanta curiosità nei nostri studenti e soprattutto delle nostre studentesse, anche per le materie scientifiche - ha osservato John Elkann, presentando il progetto -: con Matabì possiamo alimentarli un passo alla volta, anzi un mattoncino colorato dopo l'altro, usando il linguaggio semplice e universale del gioco».
“Faticosa”, in generale, per tanti studenti (almeno la metà dei maturandi arriva all'esame senza le necessarie competenze, secondo l'Invalsi), la matematica diventa un vero e proprio freno alla carriera scolastica e lavorativa delle ragazze. Già al termine della scuola primaria, il divario a svantaggio delle bambine equivale a sette mesi di minor scuola, che arriva a un anno intero al termine delle superiori. E ancora. Nonostante rappresentino il 60% dei laureati, soltanto il 16% di donne ha una laurea Stem, contro il 35% dei maschi. Il divario di genere si manifesta anche in ambito lavorativo: a un anno dalla laurea, le laureate Stem che lavorano sono il 76%, rispetto all'85% dei colleghi uomini e hanno una retribuzione di 1.400 euro al mese contro i 1.500 dei maschi.
«Ma crediamo davvero – si è chiesta Anita Tabacco, docente di Scienze matematiche al Politecnico di Torino, che ha spiegato i fondamenti pedagogici dell'iniziativa – che le ragazze non amino le materie scientifiche? Sappiamo che il divario di genere nasce già nei primi anni di vita, in età prescolare. E allora dobbiamo lavorare per cambiare già allora l’atteggiamento, spesso inconscio, di genitori ed educatori, in generale degli adulti, quando si riferiscono a bambine e bambini. Perché infine il divario di genere non è un problema solo per le donne, ma per l’intera società italiana. Tanto più che siamo un Paese non proprio giovane, dunque, ancora meno possiamo permetterci di sprecare risorse».