Marcia per la pace. Centinaia di persone a Cagliari per dire: basta bombe sui bambini
Sono arrivati da tutta l’isola. Almeno duemila persone nella regione più militarizzata d'Italia per dire con una lunga marcia attraverso Cagliari che la pace ha il volto dell’accoglienza, della legalità, di un lavoro onesto che sostiene la vita e non di uno semplicemente in regola ma che, come avviene con la fabbrica di bombe di Iglesias, si alimenta dando la morte.
C’erano bambini, famiglie, giovani e anziani. Immigrati e rom. Per sei ore da piazza San Michele hanno attraversato la città salendo fino al santuario della Bonaria, sulla collina che guarda al mare e che da qui ha visto partenze e sbarchi. Di chi è arrivato fino “alla fine del mondo”, ispirando il nome di una capitale come Buenos Aires, o di chi attraverso le rotte dall’Africa del Nord cerca su queste coste finalmente un po’ di pace.
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La Marcia nazionale viene promossa dalla Commissione episcopale per i Problemi sociali e il lavoro della Cei, dal movimento cattolico internazionale «Pax Christi», dalla Caritas nazionale e dall’Azione Cattolica Italiana. E come acccade fin dall'esordio, anche quest'anno si sono aggiunte organizzazioni, movimenti e associazioni.
Per don Ranto Sacco, di Pax Christi, l’appello di Papa Francesco alla riconciliazione e alla speranza, contenuto nel messaggio per la Giornata mondiale della pace, dal titolo “La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica”, si deve tradurre “con un “no” deciso alla guerra e alle armi, ed è proprio ciò che la marcia intendeva ribadire”.
Ed anche qui sono arrivate le parole del pontefice, venuto nel 2013 proprio alla Bonaria, il quale nel suo messaggio per la giornata della pace, si è rivolto agli “artigiani di pace”, aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. “Un punto importante della sua riflessione – sottolinea ancora don Sacco – è il valore della memoria, perché la memoria ci invita a ricordare e costituisce la radice, la traccia, per le presenti e le future scelte di pace.”. Si tratta quindi di una “visione globale” dove la conversione ecologica, la riconciliazione è con tutti, “con il creato, con le persone e, per chi è credente, con il creatore”.
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Oppure, per dirla con don Ettore Cannavera, fondatore della comunità La Collina, una vera casa di dialogo e accoglienza per gli ultimi, occorre ricordare che in una regione ad alto tasso di disoccupazione, tra sogni traditi e i continui inganni delle promesse mai mantenute,“serve un impegno maggiore da parte della politica”, afferma don Cannavera, “tutti gli esseri umani vanno rispettati nei loro bisogni e nei loro diritti: bianchi e neri, credenti e non credenti, cristiani e musulmani”.
Parole e temi che sono tornate nelle riflessioni di don Luigi Ciotti, il fondatore del Gruppo Abele e di Libera, arrivato in Sardegna o per invocare un impegno vero “per dare alla pace il significato e l’impegno che meritano, non con le solite parole vuote di significato. Perché pace vuol dire accogliere, vuol dire dialogare, vuol dire riconciliarsi. Vuol dire soprattutto dare lavoro e dignità, laddove i diritti sono calpestati”. A cominciare dal destino comune del Mediterraneo: “La Sardegna è sempre stata terra di accoglienza. E non deve rinunciare a questa sua identità. Siate orgogliosi di essere sardi”, ha detto.
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Un appello ribadito dai presuli presenti. Da Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari in procinto di lasciare la diocesi, a monsignor Luigi Bettazzi, che non ha mai mancato nessuna delle 52 marce di fine anno. E poi Filippo Santoro, l’arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione Cei per il problemi sociali e il lavoro, e con lui anche il vescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi e Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi e già presidente di Caritas italiana.
La Pace, è stato ricordato durante la messa celebrata in tarda serata nel santuario della patrona della Sardegna, va custodita e difesa anche dall’ignoranza che cerca negli slogan facili un modo, apparentemente non armato,per promuovere conflitti all’interno delle comunità, come gli identirarismi “che allontanano e dividono”, ha rimarcato l’arcivescovo Miglio. Quando, al contrario, occorre trovarsi e sentirsi più vicini e uniti.