'Ndrangheta. La mani delle cosche sui fondi Ue
A Bratislava la marcia per ricordare il giornalista slovacco Jan Kuciak (Ansa)
«Ján Kuciak aveva iniziato il suo reportage dopo il mio attentato, per vedere se anche in Slovacchia avveniva lo stesso. E infatti gli affari sui fondi europei per l’agricoltura erano il fulcro della sua inchiesta. Per questo li hanno giustiziati». Parla Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, rimosso dalla carica due settimane fa dal neo governatore siciliano Nello Musumeci, malgrado sia diventato un simbolo della lotta alle mafie dopo l’approvazione del protocollo di legalità da lui ideato, che ha bloccato ricchissimi affari prima in Sicilia e poi in tutta Italia grazie all’inserimento nel Codice antimafia entrato in vigore a novembre. Un provvedimento che ha fatto molto male alle cosche, che hanno reagito con un agguato ad Antoci a colpi di fucile la notte del 17 maggio 2016, dal quale si salvò solo grazie alla pronta reazione della scorta che gli era stata assegnata dopo precedenti minacce. «L’uccisione del giornalista mi sconvolge, perché dimostra quanto questi affari siano importanti per tutte le mafie. Ed è la prova che il il nostro Protocollo è dirompente».
In Sicilia come in Calabria. Infatti anche l’impegno dei presidenti dei Parchi dell’Aspromonte e del Pollino, Giuseppe Bombino e Domenico Pappaterra, è finito nel mirino delle cosche perché riporta legalità sui contributi agricoli. Proprio quello di cui aveva scritto Ján Kuciak nell’ultimo articolo che non ha potuto finire perché assassinato insieme alla sua compagna Martina Kušnírová, e che ieri Repubblica ha pubblicato. «Amministrano da centinaia a migliaia di ettari di terreno, per i quali ricevono sussidi di milioni di euro. Proprio tra il 2015 e il 2016, le aziende di queste famiglie riuscirono a ottenere pagamenti diretti dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura per oltre 8 milioni e altre centinaia di migliaia di euro le ricevettero come sovvenzioni. Che avessero diritto a questi pagamenti è opinabile. In un caso, l’azienda chiese pagamenti per una superficie di terreno di 8 volte superiore a quello effettivamente coltivato. In un altro chiese sovvenzioni per aree per le quali non versava canone e che non aveva il diritto di usare».
È la fotografia di quanto le cosche siciliane e calabresi sono riuscite a fare negli scorsi anni e che, dopo le difficoltà provocate dal protocollo, stanno esportando in territori 'ospitali'. Ma senza mollare l’affare in Italia. «Il flusso di imponenti somme di denaro erogate sotto forma di contributi comunitari – scrive la Procura nazionale antimafia nell’ultima Relazione – ha finito per costituire una sorta di economia parallela, in grado di soppiantare ogni altra attività economica alternativa» ed è «indubbio oggetto di interesse da parte della locale criminalità e alimenta il ricorso all’uso di sistemi fraudolenti per conseguire i finanziamenti pubblici». Un affare che, denuncia la commissione Antimafia, ha provocato «gravi episodi di violenza, minacce, danneggiamenti, ma anche attentati e omicidi con l’obiettivo di entrare in possesso dei fondi agricoli».
Ora Antoci si dice «molto preoccupato. Temo quello che accadrà nei prossimi mesi con una mia sovraesposizione, che cresce ogni giorno di più. Le persone scomode restano scomode». Oltretutto, drammatica coincidenza, due giorni fa è morto improvvisamente Tiziano Granata, giovane poliziotto del commissariato di Sant’Agata di Militello, il più impegnato nelle inchieste sulla mafia dei pascoli, uno degli uomini che ha salvato Antoci. «Era il cuore delle indagini. Ora c’è il rischio che ci si fermi perché aveva lui le competenze». Questi timori e le vicende slovacche richiedono che non si abbassi la guardia. Anche perché ieri sera è arrivata la notizia della morte di un secondo poliziotto dello stesso gruppo, Rino Todaro. Per entrambi è stata decisa l’autopsia.