Il punto. Bce e Bankitalia: il debito si taglia investendo
La ripresa è minima ma c’è, gli spread si sono fatti sottili sottili, le nuvole nere che ancora sorvolano l’economia europea non promettono in ogni caso tempeste terribili. Il rischio è che i governi si accontentino di avere raggiunto questa situazione di calma e si mettano seduti in attesa di cavalcare le eventuali riprese altrui. Invece per gli esecutivi della zona euro è proprio il momento di lavorare per trovare la crescita. È questo il senso delle 'lezioni' severe e anche un po’ preoccupate sulla crisi della zona euro tenute ieri dai due ultimi governatori della Banca d’Italia. Mario Draghi, l’ex governatore passato alla guida della Banca centrale europea, è intervenuto a Science Po, l’università parigina che è la culla della classe dirigente francese. Ha ripercorso la storia della crisi dei debiti europei e ha individuato nell’avvio del progetto dell’unione bancaria (era l’estate del 2012) il momento in cui la zona euro «si è rimessa sulla traiettoria della crescita». Unire il sistema bancario, ha spiegato, significa riconoscere che la moneta è davvero unica: un euro depositato in una banca greca non vale meno di un euro affidato a una banca tedesca, entrambi hanno le stesse garanzie e sono in definitiva interscambiabili. L’Unione bancaria è realtà ora che il meccanismo unico per gestire le crisi degli istituti è stato approvato in via definitiva. Sarà ancora più efficace quando sarà completata la revisione dei bilanci delle banche avviata nelle scorse settimane («il risultato migliore – ha ricordato Draghi – è se le banche sono previdenti e fanno le correzioni necessarie prima della fine del processo»). La Bce sta guidando e accompagnando questo processo con strumenti diversi (i prestiti Ltro, la garanzia Omt, la strategia della forward guidance) ed è pronta ad «adottare ulteriori misure di politica monetaria » se le condizioni dovessero renderlo necessario. Però «liberare la crescita potenziale non è compito della politica monetaria ». Quello è il punto: spingere la ripresa è compito dei governi. E qui Draghi è tornato a chiedere alla politica di fare il suo lavoro. La competitività e la crescita, ha spiegato, vengono dagli investimenti, non dalle svalutazioni. «Le leggi di tutte le nazioni dell’euro agevolano gli investimenti? I sistemi fiscali li aiutano? I sistemi educativi li incentivano?» ha chiesto schiettamente il banchiere centrale, invitando i governi a lavorare su burocrazia, tassazione e scuola. In definitiva, ha spiegato il banchiere centrale, quello che un governo e le parti sociali di uno Stato dell’euro devono chiedersi è se «le nostre economie sono adatte a muoversi in un’economia della conoscenza globalizzata». Se non lo sono, è il messaggio, bisogna intervenire. Ignazio Visco la sua lectio magistralis l’ha tenuta a Pavia, allo storico Collegio Borromeo. Il governatore della Banca d’Italia ha mostrato di pensarla proprio come il suo predecessore che ha traslocato a Francoforte. Intanto, adesso che «emergono rinnovati segnali di interesse per i mercati italiani» bisogna stare attenti a non abusare del clima positivo, dato che «basta poco a incrinare la fiducia degli investitori ». Ma soprattutto è inutile continuare a insistere per ottenere un allentamento dei parametri europei sui conti pubblici. «Per il nostro paese il vero vincolo di bilancio è dato dalla necessità di garantire la sostenibilità del debito pubblico e di mantenere il pieno accesso al mercato finanziario » ha avvertito il governatore. La risposta, quindi, non può essere che la solita: bisogna fare le riforme, anche se hanno «costi dei breve periodo». Come Draghi, Visco chiede di pensare più alla crescita che ai limiti di bilancio. Nota che con una crescita annua del 3% (che fu 'normale' in tempi ormai remoti per l’Italia) basterebbe tenere i conti in pareggio strutturale per rispettare i criteri del 'fiscal compact'.
«A differenza di quanto sostenuto da alcuni commentatori – ha sottolineato il governatore – non sarebbero necessarie manovre correttive da 40-50 miliardi all’anno». La strategia più sbagliata è allora tentare di indebitarsi ancora soltanto per fare quadrare conti che non tornano: «Non si può far crescere il debito indefinitamente, lo si può fare se si investe e se c’è un ritorno degli investimenti. Per molti anni noi abbiamo fatto crescere il debito in assenza di investimenti». Questo passaggio, il più duro della lezione di Visco, curiosamente non compariva nella bozza della sua lezione pavese.