Il racconto. La Grande Caccia al tampone in una Milano kafkiana
Automobilisti in coda per accedere al centro per i tamponi "drive through" dell'Osepdale San Paolo di Milano
Alla fine ce l’ha fatta, il maledetto. Lo stanno constatando migliaia di milanesi, sinora rimasti indenni: stavolta no, il Covid sta andando a strascico. Attendeva solo il momento in cui avremmo tutti abbassato la guardia, e si è intrufolato per una delle infinite porticine che gli lascia aperte una qualunque famiglia con una normalissima vita professionale, scolastica e relazionale. Il clima natalizio più rilassato della versione 2020 ha fatto il resto. Assicurato che le conseguenze sulla salute siano modeste, come accade nella grande maggioranza dei casi (sia ringraziato il vaccino...), il day after dei sintomi è l’inizio di un viaggio in una città scivolata da un giorno all’altro in un racconto di Kafka, quando credeva di aver archiviato le pessime figure dei primi mesi di pandemia.
La Grande Caccia al Tampone inizia per quasi tutti con la ricerca del proprio medico di base, che perlopiù risulta irraggiungibile nei tempi desiderati per via di orari di reperibilità e ferie, o semplicemente perché sopraffatto dalle richieste. Ci si trova così a mettere insieme pezzi di regole mandate a memoria o ricucite qui e là tra web e amici, in una specie di bricolage diagnostico. L’amara verità è che, mentre ci si credeva ormai addestrati a tutto, chi all’improvviso da "sempre sano" cade nel Girone dei Malati si sta trovando a improvvisare. Ora che hai bisogno di informazioni puntuali, chiare e precise, le fonti sanitarie ufficiali sembrano stare sulle generali, come non si fossero accorte del popolo dei Cercatori di Tamponi che percorre febbrile la città, rimbalzando di ospedale in farmacia, da un hub a un drive through.
Mentre cerchi un posto che accolga anche il viandante sprovvisto di qualsivoglia prenotazione (impossibile: il sistema è soffocato) o prescrizione medica, è inevitabile chiedersi se fosse proprio imprevedibile questo tsunami di richieste che si sta abbattendo su ogni terminale sanitario milanese. Al drive dell’Ospedale San Paolo è solo il cortese filtro dei Vigili Urbani a selezionare dopo un’ora e mezza di coda chi è provvisto di richiesta rimbalzando gli altri, che fanno rotta verso il San Carlo ("provi lì") dove però trovano un serpentone di auto da evacuazione della metropoli. La vana questua telefonica nelle catene di farmacie, con la prima data libera a inizio gennaio, spinge allora a cercare soluzioni nel mercato parallelo delle visite domiciliari che però arrivano ai 140 euro. Né molto più promettente è la strada dei centri clinici privati, a pagamento, ma con tempi di attesa che ormai scavallano l’anno, sebbene filtri da Radio Tampone che qualche caso l’hanno risolto.
Così si girovaga per la città seguendo la pista dell’amico che in quella tale farmacia ci è riuscito "ma devi andare molto prima che aprano", o del medico del tal conoscente che gli avrebbe detto di chiamare "a suo nome". Intanto la chat della classe o del lavoro inietta dosi di ansia con raffiche di positività e quarantene. Quando verso sera, sotto la pioggia, si trova il pertugio giusto in una farmacia privata, dopo le inevitabili due ore di coda sul marciapiede, l’infermiera slava che affonda il bastoncino fino a cavità nasali di cui si ignorava l’esistenza, sfinita dai 150 tamponi precedenti, pare la Fata Turchina. Neppure più importa l’esito: ormai con il tampone era diventata una questione personale.