Roma. L'incidente di Casal Palocco e quelle sponsorizzazioni insostenibili su YouTube
Matteo Di Pietro, dei TheBorderline, in uno dei video postati sul canale youtube ora rimosso
Il bilancio di sostenibilità 2022 del gruppo Sony ha 164 pagine. Sarà interessante leggere l’edizione 2023, per vedere che spazio trova, nella valanga di parole sulla bontà dell’impatto della multinazionale giapponese sul pianeta e la società, la morte di Manuel Proietti, 5 anni. Cioè il fatto che un gruppo di ragazzi che la filiale italiana del gruppo ha scelto di sostenere perché «creano contenuti da pazzi» abbia usato le risorse messe a disposizione dagli sponsor per noleggiare una Lamborghini portata a sbattere contro la Smart guidata da una giovane mamma che riportava i figli a casa dall’asilo. Pare – anche se sembra incredibile – che gli youtuber dopo lo scontro continuassero a filmare quello che stava succedendo.
Non era questo il genere di contenuti a cui Sony voleva legare la sua immagine (Sony Italia ha frettolosamente cancellato il tweet del primo giugno in cui annunciava la collaborazione con TheBorderline). Ma al di là di questo drammatico incidente, la produzione di questi youtuber romani che oggi hanno chiuso il canale è oggettivamente spazzatura culturale: si chiudono in una scatola di cartone per cinquanta ore, giocano a nascondino allo Stadio Olimpico, mettono alla prova reni e vescica per scoprire quanta acqua si può bere senza andare in bagno. Il tutto corredato dall’ossessione per i soldi e il patetico tentativo di camuffare con obiettivi filantropici qualcuna di queste stupide imprese.
Si sa come funzionano i social e il mercato dell’attenzione più in generale: vince chi sa farsi notare, a qualsiasi costo. Il modo migliore per riuscirci in un oceano di contenuti a prezzo zero è fare leva sulle emozioni più semplici e animalesche dell’essere umano.
Questo genere di video evidentemente piaceva: TheBorderline aveva 600mila iscritti e decine di milioni di visualizzazioni. Si sa come funzionano i social e il mercato dell’attenzione più in generale: vince chi sa farsi notare, a qualsiasi costo. Il modo migliore per riuscirci in un oceano di contenuti a prezzo zero è fare leva sulle emozioni più semplici e animalesche dell’essere umano. Per questo spopolano sfide pericolose e senza senso, il tiktoker più seguito è un tipo che fa le facce e le influencer più popolari sono belle ragazze sempre ben disposte a spogliarsi.
La gara a chi fa più like è un’impressionante corsa verso il basso. Gli effetti negativi del successo di questo business sulla nostra società, non solo sui più giovani, è visibile: depressione e solitudine dilaganti, perdita di capacità di attenzione, impoverimento del linguaggio e della logica di base, drammatico peggioramento del dibattito pubblico sono solo alcuni dei problemi globali che coinvolgono direttamente i social network. Un mese fa la massima autorità sanitaria degli Stati Uniti ha dovuto lanciare l’allarme per «le crescenti preoccupazioni sugli effetti dei social media sulla salute mentale dei giovani». Se mancano le prove definitive del danno, com’è stato per decenni per l’industria del tabacco, è anche per la generosa attività di lobbying dei giganti della Silicon Valley. Non c’è bisogno di scomodare luminari della psicologia per capire che guardare il video di quattro persone che girano per cinquanta ore in Lamborghini non può contribuire al benessere di una persona.
Il tweet che annunciava la collaborazione tra Sony e TheBorderline, poi rimosso dopo l'incidente - Twitter
Nel business dei creator, i clienti (quelli che pagano) sono gli sponsor e gli inserzionisti, mentre gli utenti (con la loro attenzione catturata secondo meccanismi neurali e sistemi di rilascio della dopamina già sperimentati da decenni sui topi in laboratorio) sono la materia prima da vendere al prezzo migliore. Gli inserzionisti sono quelli che hanno il potere di fermare questo schifo: possono asciugare il fiume di denaro che mantiene in piedi la baracca, lasciare senza fondi chi usa i social in modo orrendo. Hanno più potere loro anche rispetto ai colossi californiani o cinesi che gestiscono le piattaforme in modalità “etica minima” e hanno bisogno che siano gli utenti a segnalare che qualcuno sta trasmettendo in diretta mentre fa strage in una scuola.
La responsabilità di impresa non è qualcosa che si può fare solo a pezzi: serve a poco tagliare le emissioni o appoggiare scuole africane se poi per spingere le vendite si investe senza scrupoli nella sponsorizzazione del peggio che il web sa offrire. La sostenibilità di un’azienda o mira a essere integrale o non lo è. Vale per Sony, che ha avuto la sfortuna di trovarsi coinvolta nella cronaca triste di questo incidente, come per decine di migliaia di altri gruppi. Sta alle imprese, a partire da quelle più grandi, decidere con le loro scelte concrete in quale mondo vogliono accompagnarci. Quello da cui è stato strappato Manuel è davvero «un mondo infame», come ha scritto suo papà.