Dna, Relazione 2020. Le mani delle mafie sulla crisi per la pandemia
Una operazione antimafia
Il tempo stringe, anzi è già strettissimo. "La penetrazione delle mafie nel mercato legale" va avanti da un pezzo e lo scenario (a breve e medio termine) si sgrana davanti agli occhi: "Le organizzazioni mafiose tenteranno di approfittare delle difficoltà economiche delle imprese per acquisire asset più o meno rilevanti, accrescendo la loro penetrazione nel mercato legale". E sono veloci, molto veloci. Perciò "è del tutto evidente che le strutture antimafia devono elaborare con largo anticipo un piano articolato di catalogazione dei settori a rischio e d’intervento sulle iniziative che i mafiosi stanno sicuramente già mettendo a punto". Lo spiega la 'Direzione nazionale antimafia' (Dna) nella sua ultima Relazione annuale al Parlamento (1.254 pagine, che riguardano il 2019 e la prima metà del 2020), insieme a molto altro.
Covid. Nella prima fase della pandemia, le mafie "hanno cercato di evitare azioni palesi" per non aumentare le tensioni sociali già esistenti, "soprattutto in quei territori dove il tasso di emarginazione e povertà è maggiore e capillarmente diffuso". Piuttosto "hanno cercato di proporsi come fornitori di generi di prima necessità nell’ambito di iniziative pseudocaritatevoli per acquisire e/o consolidare il consenso degli strati più popolari".
Nel frattempo, continuavano "i tradizionali affari criminali quali il traffico di stupefacenti, il commercio di armi, il contrabbando, la contraffazione, le estorsioni”, ma soprattutto s’organizzavano per mettere le mani anche sui "cospicui contributi" di governo e Ue "ai settori produttivi del Paese". Ampliando "gli orizzonti operativi e strategici", sapranno indirizzare "quantità ingenti di denaro di provenienza illecita verso nuove opportunità derivanti dalla post-epidemia", cioè "settore sanitario e forniture medicali", ma anche nei "più tradizionali settori dell’edilizia, del turismo, della grande distribuzione, del comparto scolastico".
Corruzione. La guerra va combattuta in gran parte su questo fronte, "soprattutto contrastando, anche a livello di opinione pubblica, quel contesto d’illegalità diffusa che costituisce terreno fertile di crescita della criminalità organizzata". Perché le mafie - scrive la Dna - "hanno sviluppato specifiche attitudini a condizionare pesantemente gli apparati politico-amministrativi". Perché "attraverso la leva corruttiva e il condizionamento del diritto di voto, sono capaci di piegare la gestione della cosa pubblica ai loro interessi" e "alterare il meccanismo di aggiudicazione degli appalti, soprattutto a livello delle autonomie locali". A proposito, spesso sono proprio i candidati politici a chiedere il sostegno delle associazioni mafiose, non soltanto viceversa.
“Welfare” mafioso. Il processo evolutivo delle mafie "è in costante crescita": meno piombo, meno intimidazioni, più - appunto - corruzione: le criminalità organizzate "operano sempre più sotto traccia e ricorrendo a metodiche sempre più sofisticate". E poi c’è l'altro fronte: "La penetrante presenza delle mafie nel tessuto economico imprenditoriale e negli affidamenti pubblici incrementa il consenso sociale", specie "nelle aree più povere del Paese". Perché "l’impresa gestita dalla mafia può assegnare un posto di lavoro, offrire servizi di cui la popolazione ha bisogno, richiedere forniture o altre prestazioni". Sarebbe a dire che
Massoneria. "In recenti procedimenti - sottolinea la Dna nella Relazione - è emersa la sistematica affiliazione alla massoneria di alcuni associati delle mafie", finalizzata "ad avvicinare soggetti che ricoprono ruoli di rilievo nella società, pronti a scendere a patti con le famiglie criminali". Una sorta di “capitale sociale” "utilizzato dalle organizzazioni criminali per i più svariati fini: solo a titolo esemplificativo, i legami con politici e funzionari".