Terra dei fuochi. «Resit la discarica dei veleni continua a inquinare»
«Alla luce di tutto quanto emerso, si ritiene che l’attività di ricezione e smaltimento dei rifiuti ivi sversati nel corso degli anni, verificata anche la natura pericolosa - tossica e/o nociva- di alcuni di essi abbia effettivamente prodotto un danno all’ambiente». Lo scrivono i tre consulenti della Corte d’assise d’appello di Napoli dove si sta svolgendo il processo per la discarica Resit di Giugliano, la più famosa e famigerata, la 'madre di tutte le discariche', quasi un milione di tonnellate di rifiuti. Il documento, firmato dai tre esperti, l’ingegnere ambientale Silvia Bonapersona, il geologo ambientale Stefano Davide Murgese e il chimico Cesare Rampi, tutti piemontesi, depositato pochi giorni fa, conferma quanto emerso nei processi di primo grado che avevano portato tra l’altro alla condanna a 20 anni per il boss dei 'casalesi' Francesco Bidognetti e per il più noto imprenditore campano dei rifiuti, Cipriano Chianese, vero brooker al servizio del clan. Disastro ambientale, inquinamento e traffico illecito di rifiuti i reati accertati, soprattutto sulla base della consulenza del geologo Giovanni Balestri. Un documento fortemente contestato dalle difese degli imputati che hanno chiesto una nuova perizia. Così il 17 novembre la Corte ha nominato i tre consulenti dando 90 giorni di tempo per il deposito del loro lavoro.
Ora è arrivato e conferma le analisi del primo processo. Infatti, si legge nella nuova perizia di 84 pagine, «emerge che le sostanze inquinanti presenti in falda al di sotto delle discariche ex Resit sono da ritenersi potenzialmente idonee a nuocere gravemente alla salute». Un «avvelenamento» che non si è fermato, anzi, scrivono i tre consulenti, «risulta accertato che la contaminazione è in atto ed è aumenta progressivamente nel tempo». Anche perché, denunciano i tre esperti, «allo stato attuale non sono completate le opere di messa in sicurezza permanente dei rifiuti» e quindi «le acque meteoriche continuano ad infiltrarsi nel corpo della discarica generando un percolato che continua a compromettere la qualità delle acque di falda». Parole molto nette e fortemente critiche vengono scritte sulle carenze dell’impianto. «Lo strato di argilla non è presente», «i requisiti di permeabilità non sono verificati; quindi non è possibile asserire che i presidi (i sistemi di impermeabilizzazione, ndr) ci fossero e fossero efficaci». E comunque, affermano i tre consulenti, «la contaminazione trovata ai bordi e sotto gli invasi denota verosimilmente che i presidi, anche qualora ci fossero, sono risultati inefficaci e quindi non realizzati a regola d’arte».
Questo ha peggiorato un territorio già fortemente inquinato da altre discariche. «Dall’esame dei risultati delle attività di caratterizzazione e monitoraggio svolte – sottolineano i consulenti –, emerge che l’assenza di adeguati presidi a tutela delle matrici ambientali ha determinato un peggioramento della qualità della falda (peraltro già compromessa in relazione al sistema di discariche individuate in posizioni ubicate idrogeologicamente a monte delle discariche ex Resit) contribuendo al danno ambientale causato nel complesso dalla gestione di discariche». Il collegio peritale entra poi nel merito della contaminazione e «ritiene che la concentrazione» di alcune sostanze chimiche nelle acque «ha raggiunto una “soglia di efficacia” tale da poter considerare queste sostanze tali da potenzialmente porre in pericolo concreto, la salute degli assuntori». Infatti sono state rinvenute in falda in concentrazione eccedente la soglia di contaminazione e che quindi «possono ritenersi avere una concreta pericolosità per la salute umana: fluoruri, cloroformio, tetracloroetilene, tricloroetilene, 1,2-dicloropropano, 1,2,3-tricloropropano, cloruro di vinile, 1,2-dicloroetano, dicloroetilene; tricloroetano e benzene». E le falde compromesse sono anche quelle a monte della discarica, anche profonde. «Ancorché potenzialmente raggiungibili per lo sfruttamento ad uso umano, la compromissione della qualità delle acque di falda anche in aree poste idrogeologicamente immediatamente a monte del sito è tale da renderle non potabili in assenza di trattamenti specifici finalizzati alla rimozione dei contaminanti organici riscontrati».